Corriere della Sera

«Sono cresciuto come rifugiato in Cina E vi dico: criticate i governi, non le ong»

L’artista-dissidente lavora sui migranti. Cita la lezione del padre: «Un muro non ferma la libertà»

- di Marta Serafini

«Non me ne sono accorto fino a quando non ho realizzato questo film. Sono anche io un rifugiato». Perseguita­to dal governo cinese per le sue idee politiche, incarcerat­o nel 2011 in una cella di 27 metri quadrati per 81 giorni, minacciato con un’accusa di evasione fiscale, nonostante la sua fama gli abbia garantito l’attenzione di tutto il mondo, Ai Weiwei, a 60 anni, è entrato a far parte di quella categoria di esseri umani che chiamiamo migranti. E ora da Berlino, dove vive, racconta il percorso artistico e politico che lo ha portato a «Human Flow», in uscita oggi in Italia.

Il flusso umano, come lo ha chiamato lei, è davvero inarrestab­ile, nonostante le barriere che governi e Stati costruisco­no per fermarlo?

«Mio padre (il poeta Ai Qing, ndr) scrisse questa poesia prima della caduta del Muro. Si intitola The Wall e recita: ”Cosa succede se un muro è alto tre metri, spesso 50 centimetri e lungo 50 chilometri? Non può bloccare le nuvole, il cielo, la pioggia e il sole. E non può nemmeno fermare milioni di pensieri, più liberi del vento”. È il problema: continuiam­o a pensare di poter mettere un muro alla libertà».

Human Flow è stato realizzato in 23 Paesi, dall’Afghanista­n alle coste siciliane, dal Kenya all’Iraq. Lei ha incontrato migranti da ogni parte del mondo. Come si è sentito durante questo viaggio?

«Ero perfettame­nte a mio agio e la risposta sta nella mia infanzia. La mia educazione non è stata molto diversa da quella di un rifugiato. Sono sempre stato percepito come uno straniero a causa delle mie idee. Questa sensazione mi ha accompagna­to per tutta la vita, anche dopo aver lasciato la Cina per New York. Ecco perché non ho fatto fatica a comprender­e».

Si è fatto fotografar­e nella stessa posizione del corpo di Aylan Kurdi e con la sua arte ha cercato di smuovere le coscienze. Si può cambiare il destino dei migranti con un’immagine?

«Ho cercato di mostrare come le migrazioni siano parte della condizione naturale dello sviluppo umano. In questo processo, l’empatia e la tolleranza sono l’elemento più importante. La diversità sta alla base di ogni cultura. Senza questo scambio la società non si sarebbe sviluppata. Ma sono consapevol­e: per la maggior parte degli esseri umani è difficile aprire gli occhi di fronte alla sofferenza altrui».

Domani è la giornata in memoria delle vittime dell’immigrazio­ne. La rotta del Mediterran­eo è una delle più pericolose. Come si ferma questa strage?

«È mancata da parte dell’Europa la comprensio­ne e la visione di questa crisi umanitaria. Ma non succede solo qui. Penso alla Birmania dove 500 mila Rohingya sono stati costretti ad abbandonar­e le loro case. Eppure non vediamo i leader politici seduti a un tavolo per creare dei corridori umanitari. Stesso discorso per la stampa che dà più spazio ad un’esplosione nella metropolit­ana di Londra o a un attacco a Nizza che alle stragi in mare. C’è una sproporzio­ne enorme di attenzione. I nostri cuori e le nostre menti sembrano essere già danneggiat­i e offuscati da questo meccanismo e nessuno sembra preoccupar­sene».

In Italia molto si è discusso del ruolo delle ong. Per alcuni i salvataggi provocano un aumento delle partenze. Per altri le ong svolgono un ruolo che spetterebb­e ai governi. Che idea si è fatto?

«Ho una grande ammirazion­e per chi di mestiere aiuta chi si trova in difficoltà. Criticare gli operatori umanitari significa ribaltare la prospettiv­a e perdere di vista le priorità. Quello che manca, piuttosto, è la critica ai governi che non solo dovrebbero preoccupar­si del destino dei migranti ma dovrebbero sostenere le ong».

Anche la Cina ha visto migliaia di persone lasciare il proprio Paese per l’estero. Allo stesso tempo è diventata una potenza internazio­nale.

«Da un lato il governo non gode della legittimit­à del popolo, molti se ne vanno perché non hanno fiducia nella società cinese. Dall’altro lato la ricchezza sta trasforman­do la Cina in un Paese appetibile. Ma pensi a cosa dovrebbe accadere se ci fosse una guerra con la Corea del Nord. Una marea di persone si riversereb­be oltre i confini. Un nuovo human flow».

 ??  ?? Con i migranti Ai Weiwei in un campo di raccolta di migranti al confine tra l’Ex repubblica jugoslava di Macedonia e la Grecia. Impression­ato dalle scene di disperazio­ne dei profughi in fuga verso l’Europa, l’artista ha scelto di girare un docu-film,...
Con i migranti Ai Weiwei in un campo di raccolta di migranti al confine tra l’Ex repubblica jugoslava di Macedonia e la Grecia. Impression­ato dalle scene di disperazio­ne dei profughi in fuga verso l’Europa, l’artista ha scelto di girare un docu-film,...

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