I primi passi di Mayra la bambina travolta dal tram
L’intervento al San Gerardo di Monza dove si cura chi ha subito gravi traumi
Mayra è arrivata dove i traumi diventano speranza, dove si riaggiustano le dita spezzate dalla tortura e dove i medici riattaccano le mani devastate da una malattia. Per la cronaca, era accompagnata da un titolo di giornale: «Travolta da un tram, piede amputato». Risparmiamo i particolari di un incubo: Mayra ha solo 12 anni. Un attimo le ha cambiato la vita.
Quattro mesi dopo, in via Mac Mahon, a Milano, il tram corre come sempre lungo i binari che portano alla Bovisa. Quella mattina Mayra andava a scuola, con lo zaino, i libri e un sogno comune a tante bambine: il ballo, la danza. Invece l’urto, le sirene, il 118, la corsa a Niguarda, le lacrime, il dramma di una famiglia, l’autista sotto choc, gli accertamenti legali. Il seguito porta a Monza, ospedale San Gerardo, reparto di chirurgia plastica ricostruttiva. La buona sanità offre squarci di luce insperati. Trasferimento d’urgenza. Mayra è in sala operatoria. I medici sono fiduciosi, il lembo per la ricostruzione è pronto, la zona traumatica si può coprire e stabilizzare. Il primario, Massimo Del Bene, dice che Mayra presto potrà camminare senza zoppicare e mettere le scarpe. Per altri sogni è ancora presto. Un trauma non si può cancellare: si può fare molto per restituire un po’ di quel che si è perso.
I medici che aiutano Mayra sono angeli della quotidianità. Ce ne sono tanti altri così nei nostri ospedali, che lottano e si battono per i pazienti. L’unità operativa di Del Bene è un presidio contro gli infortuni della vita. Nel suo reparto si rende ordinario quel che è straordinario, dice il direttore generale, Matteo Stocco. Tremila interventi in un anno, cinque o sei urgenze ogni giorno. È appena stato dimesso Mohammed Diari, 18 anni, aggredito dai predoni in Libia durante il viaggio verso l’Europa: per ripararsi la testa da un colpo di machete aveva quasi perso la mano. È fuori pericolo un giovane del Ghana uscito dall’inferno di una prigione libica: per estorcergli denaro lo bastonavano e gli martellavano le mani. Da Lecco è arrivato un nigeriano con ustioni in tutto il corpo: i suoi aguzzini gli hanno gettato addosso della benzina e gli hanno dato fuoco. «La nuova patologia è la tortura», dice Del Bene. Dai centri di accoglienza gli smistano immigrati con l’orecchio mozzato, le dita della mano frantumate o, peggio, tagliate. Poi ci sono gli incidenti: la motosega, il tagliere, la sdraio, l’elica del motoscafo. Molti dei ricoverati sono bricoleur. Da un po’ anche i controllori dei treni. A uno era stato quasi amputato il braccio con un machete. Vengono qui in cerca di un miracolo. Qualche volta avviene.
Del Bene viene dalla scuola di Legnano, allievo del professor Morelli, eccellenza nei traumi della mano. La sua storia è quasi una nemesi. A cinque anni ha perso una falange del dito medio. «È rimasta nel tritaghiacchio», racconta. Si poteva riattaccare, ma venne buttata via.
Con la sua mano imperfetta Del Bene oggi fa miracoli. «Mi sono laureato in medicina e ho fatto il chirurgo plastico anche per questo, affinché non succeda più. La microchirurgia offre possibilità ricostruttive impensabili fino a qualche anno fa. E noi non facciamo distinzioni sociali tra chi può pagare e chi no». Nel reparto si prepara il trapianto di mani su un giovane di 25 anni folgorato da una scarica elettrica. Un altro trapianto, nel 2010, è stato eseguito con successo su una donna, Carla Mari: colpita da setticemia, è diventata il primo caso al mondo di terapia antirigetto con cellule staminali prelevate dal midollo osseo. L’obiettivo è sempre lo stesso, salvare quel che si può salvare, aiutati dalla tecnologia, dalla ricerca medica, dalla disponibilità 24 ore su 24.
Mayra è un caso speciale. Da quel 30 maggio ha bisogno di avere vicino oltre ai medici e agli psicologi, i genitori e gli amici. Le serve coraggio, come nel racconto di Anna Maria Ortese, in cui si parla di un bambino finito sotto un tram nella Milano frenetica del boom. «Siamo come le formiche, vero papà», disse mentre il genitore tratteneva a fatica le lacrime. «Ci sono tante formiche oggi, piccole creature a cui nessun dio prende la mano, formiche ovunque, in fuga, a volte immobili, perché è il loro modo di resistere, tra scarpe gigantesche, forze impassibili, e disumane...: come gli orrori di una guerra, come le ruote di quel tram...» sentenziò la grande scrittrice. Il dolore di Mayra è grande, ma c’è chi vuole vederla sorridere. Oggi è tornata a camminare. Forza. Intorno alle formichine come lei ci sono persone che non si arrendono. Se possono, cercano anche di non far morire i sogni.
I casi Dai migranti torturati agli incidenti domestici, il reparto affronta sei urgenze al giorno