INTEGRARE I DISABILI A SCUOLA UN PARADIGMA DI CIVILTÀ
Caro direttore, con l’inizio del nuovo anno scolastico è frequente imbattersi in attente e approfondite riflessioni sullo stato di salute della scuola italiana e sulle eventuali terapie da somministrare a un paziente che appare a tanti in cattive condizioni. Come frequentemente accade, molte opinioni diventano, in questo mondo ricco di informazioni spesso contraddittorie, assiomi e certezze. Vorrei contribuire a fare chiarezza: il sistema dell’istruzione italiana richiede significativi e non più indifferibili sforzi per migliorare le sue insostituibili funzione di crescita culturale e di coesione sociale.
In termini assoluti il finanziamento dell’istruzione in Italia in rapporto al Pil è pari quasi al 4 per cento rispetto alla media Ue del 4,8. Tradotto in soldoni per raggiungere il finanziamento medio dei Paesi europei occorrerebbe prevedere una spesa aumentata di 17 miliardi di euro.
Esiste una forza politica in grado di considerare una priorità questo investimento? Sarebbe interessante scoprire cosa ne pensano i tre principali partiti italiani: Pd, Movimento 5 Stelle e Forza Italia. In Italia non è basso il livello della spesa pubblica totale ma quello specificamente dedicato alla istruzione. Un tema politico che prima o poi un Paese che sappia riconoscersi in valori e obbiettivi comuni, lontano dagli spettri ideologici e dai populismi sempre in auge, dovrebbe affrontare insieme.
Altro tema essenziale riguarda il dato anagrafico e quello economico. Con una età media dei docenti superiore ai 50 anni e un livello di retribuzione annuo più basso della media europea (35.900 contro 44.407 euro) si comprende come anche la
vulgata dei professori scansafatiche debba essere messa nell’angolo con decisione. I docenti italiani, quelli bravi e quelli scarsi, lavorano rispetto ai loro colleghi europei di più (200 giorni contro 182). È certo che potrebbero lavorare di più (e meglio) ma è altrettanto sicuro che non si possa rimproverarli di essere, rispetto ai loro colleghi europei, dei fannulloni.
Anche il famigerato rapporto insegnante/alunno rilevato più volte da autorevoli osservatori che farebbe ipotizzare in Italia una scuola preoccupata solo di rappresentare un ammortizzatore sociale non rende giustizia di una peculiarità del nostro sistema scolastico: la scuola dell’inclusione dei disabili. Dunque attribuire al rapporto insegnante alunno italiano un valore negativo considerando l’Italia il fanalino di coda dell’Ue rivela una grave lacuna: si dimentica che affianco agli insegnanti curricolari nelle nostre scuole ci sono oltre 140 mila insegnanti (di ruolo e non) per favorire la inclusione degli alunni disabili. Se, con una elementare sottrazione, si volesse ricalcolare e quindi confrontare, il rapporto in oggetto, si scoprirebbe come il nostro Paese sia perfettamente allineato alla media europea anche riguardo a questo indicatore.
Dunque a meno che non si consideri la scuola dell’inclusione dei disabili un costo non sostenibile per un Paese come l’Italia occorrerà «rassegnarsi» a un rapporto docente alunno che tenga conto di questa peculiarità.
Da sottolineare che in questo calcolo non ho considerato il dato numerico degli insegnanti di religione (oltre 30 mila) che farebbero ulteriormente risalire il fatidico rapporto docente alunno alla media europea.
Discorso a parte merita invece quello della formazione del personale docente che nel rap- porto Education and Glance del 2016 viene segnalata come una importante criticità del nostro sistema scolastico.
Anche questo è un tema e una responsabilità della politica e dei sindacati al pari della esigenza di trovare risorse economiche.
Gli studenti e le famiglie italiane aspirano ad avere insegnanti preparati ed adeguatamente pagati in relazione ai loro sforzi professionali. Una timida inversione di tendenza, a dire il vero, si è registrata con il governo Renzi.
L’augurio è che nella prossima legislatura, indipendentemente dal governo designato, le forze politiche sappiano riconoscere la insostituibile necessità di formare studenti al passo con i loro colleghi europei senza cancellare un paradigma della nostra civiltà come la scuola dei disabili. Presidente dell’associazione
«Tutti a scuola»