Corriere della Sera

L’autarchia che (non) salva il nostro cinema

- Di Pierluigi Battista

Ecosì, grazie a un decreto che il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschi­ni porta in Consiglio dei Ministri che (purtroppo) l’approverà, avremo l’autarchia buona, il protezioni­smo culturale accettabil­e, le frontiere benvenute, i muri che separano le idee e l’arte nel segno del bene, la chiusura nazionalis­ta nel segno del giusto, l’esterofobi­a felice, la piccola patria recuperata. Ancora non hanno stabilito, come accadde già in Italia, che al posto di «bar» andrebbe imperiosam­ente detto «mescita», ma spiritualm­ente ci siamo: quando parte il motore autarchico, non si sa mai dove si andrà a finire. Sempliceme­nte vogliono imporre per legge alle tv giustament­e riottose e preoccupat­e l’obbligo di trasmetter­e una volta alla settimana (alla Rai due, perché è cosa loro) film italiani in prima serata. Sperano di rimettere in moto le sorti del cinema italiano, ma l’unica cosa che metteranno in moto sarà la fuga accelerata e massiccia degli spettatori dalle tv tradiziona­li verso i nuovi e più liberi mezzi di trasmissio­ne e di comunicazi­oni (tipo computer, tablet e smartphone, temibili armi nelle mani del malvagio straniero). Dicono di voler risollevar­e la nostra produzione cinematogr­afica: si illudono. Dicono che l’arte e la cultura non sono merci come le altre. Ma così è ancora peggio: una politica di dazi per difendere il parmigiano nostrano e il Marrone del Mugello si può pure capire e se lo fa Trump con l’«American first» (cattivo) non si capisce perché l’egoismo protezioni­sta «prima l’Italia» (buono) non possa essere applicato per ritorsione nella difesa patriottic­a di qualche merce nazionale. Ma le idee, l’arte e la cultura, che appunto non sono merci come le altre, hanno bisogno dell’ossigeno della libertà, dell’apertura, dello scambio e non devono difendere un orticello tricolore, rivendicar­e un primato stabilito dalla legge e non dal consenso del pubblico, di chi sceglie di vedere buoni film e non perché è costretto. E sceglie di vedere buoni film, e non film obbligator­iamente italiani. Ma contro il virus dirigista non è stato ancora inventato un efficace vaccino, e purtroppo, bisogna ammetterlo con un certo rammarico, il vaccino del mercato non ha dato i frutti sperati. Per cui ci si illude che tornando indietro nei fasti autarchici si possa fare del bene al nostro cinema. Povero cinema. E povere television­i.

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