TRIBUTO ALL’ARCHITETTO PORTALUPPI
Negli anni Venti del Novecento l’ingegner Ettore Conti, pioniere nella costruzione delle centrali elettriche dell’Ossola e finanziatore del restauro di Santa Maria delle Grazie (dov’è sepolto), adottò una ragazza che andò in sposa a Piero Portaluppi, il più grande architetto della borghesia milanese del secolo scorso, scomparso cinquant’anni fa. Portaluppi (1888-1967), nato povero, si trasferì in casa Atellani dal suocero e la trasformò con quel suo tratto preciso, austero e di altissima qualità che ritroviamo anche a Villa Necchi Campiglio del Fai. A casa Atellani conservò le preesistenze, come l’affresco di matrimonio di Francesco II Sforza con Cristina di Danimarca, i ritratti nelle lunette, ma aggiunse boiserie, cassettoni, un trompe-l’oil di edere intrecciate, una meridiana, librerie e una parete con anagrammi di nomi e parole. Realizzò anche una personale Wunderkammer: una camera con pareti tappezzate da frammenti di marmi romani, la più sublime collezione privata di piccoli frammenti lapidei che si possa vedere: vene, porosità, sfumature, colori... lì, il marmo sussurra un linguaggio segretissimo.
La casa di famiglia era il porto sicuro, ma Portaluppi — con quel sorriso beffardo — non era certo un «santo». L’Amatore è il delicato film-nostalgia scritto e diretto da Maria Mauti per ricordare l’anniversario dell’architetto (prodotto da Piero Maranghi per MP1, voce di Giulia Lazzarini, un testo di Antonio Scurati, da oggi nelle sale di Milano). Il film è un viaggio dentro il tempo di Portaluppi, il tempo dei grandi borghesi protagonisti della storia di Milano, ed è realizzato usando anche il suo immenso archivio di film in 16mm. Gli piaceva filmare e, con quella borghesia, eravamo sempre «sul lago dorato»: bambini che giocano, vacanze al mare e ai monti, uomini a caccia di amanti e di orologi solari, donne strette nelle gonne e nel ruolo di madri (pazienti) e di mogli esemplari. Lui, intanto, l’allievo di Gaetano Moretti al Politecnico, coniuga stilismo e modernità in un gusto che oggi appare forse lontano, gozzaniano, ma stupefacente per qualità e decoro. Con la spintarella del suocero incomincia a progettare centrali elettriche lungo l’arco alpino: Verampio, Valdo, Crevoladossola, Cadarese. Poi diventa il Vitruvio ambrosiano: realizza il palazzo con arco classico in corso Venezia (1926-30), il Planetario Hoepli (1929-30), il Palazzo Ina in piazza Diaz (1932-37), Villa Necchi Campiglio (1932-35), l’Arengario (1937-42, con Enrico A. Griffini, Piero Magistretti, Giovanni Muzio) diventato Museo del Novecento. Quindi i restauri della Pinacoteca di Brera (1919-25), delle Grazie (1929-48) e, nel dopoguerra, gli interventi al convento di San Vittore (Museo della Scienza e tecnologia, 19471953), all’ex Ospedale Maggiore (Università Statale), a Villa Panza a Biumo e la costruzione della Piccola Scala (1949-1955, oggi rimossa). Come altri bizzarri architetti si scatenò in progetti di città ideali e si sperimentò come disegnatore satirico sulle pagine di riviste milanesi: «Varietas», «L’Uomo di Pietra» e «Guerin Meschino».
Oltre al film, sostenuto dalla Fondazione Portaluppi (che organizzerà anche un convegno), in occasione di questa ricorrenza Jacopo Ghilardotti ha curato un testo sull’architetto intitolato Aedilitia III e il ministero dello Sviluppo economico ha emesso un francobollo ordinario a lui dedicato (valore di 0,95): raffigura un giovane Portaluppi in papillon con, sullo sfondo, il progetto della centrale idroelettrica di Crevoladossola.