Corriere della Sera

Due leader troppo diversi

I PROTAGONIS­TI IL RITRATTO D’Alema e Pisapia divisi su tutto sin da quando il primo era presidente del Consiglio e decise l’intervento in Kosovo

- Di Aldo Cazzullo

«Non dovete chiedere a Pisapia se candida me, dovete chiedere a me se candido Pisapia». «Quando D’Alema faceva la guerra in Kosovo, io partivo per il Kosovo a lavorare in un campo profughi».

Come Massimo D’Alema e Giuliano Pisapia potessero essere il fondatore e il leader del nuovo partito della sinistra, è un mistero che lo scontro di ieri ha forse risolto: sono troppo diversi.

Troppo diverse le loro storie, le loro idee della politica, dell’Italia, del mondo. Anche se il punto di partenza è lo stesso: la primavera del 1949 (Pisapia è del 20 maggio, D’Alema del 20 aprile).

Pisapia è figlio della borghesia milanese delle profession­i e dei diritti, che gli avversari definiscon­o radical chic. Suo padre Gian Domenico era un avvocato importante, lui è un avvocato importante («ineffabile» dice D’Alema). D’Alema è figlio del partito. Suo padre Giuseppe fu mandato a dirigere la Resistenza nel Ravennate, al posto di capi partigiani che erano stati fucilati; ma la vera comunista togliattia­na era la madre, donna forte e asciutta («io somiglio a mamma»). Pisapia ha avuto come insegnante di religione al Berchet don Giussani ma è cresciuto nel mito di don Milani: «Andai a Barbiana per incontrarl­o, era già molto malato. Dormo con la Lettera a una professore­ssa sul comodino, sul leggìo in salotto tengo un altro suo libro: L’obbedienza non è più una virtù». D’Alema è cresciuto all’ombra di Berlinguer, gli ha anche dedicato un saggio, A Mosca l’ultima volta, in cui il segretario prima di morire confida al futuro successore i tre segreti del socialismo reale: «“I dirigenti mentono. Sempre, anche quando non sarebbe necessario. L’agricoltur­a non funziona. Mai, in nessuno di questi Paesi. E le caramelle hanno sempre la carta attac- cata”. E fece con le dita il gesto di stropiccia­rsele, come se dovesse liberarsi appunto di una carta appiccicos­a». Ma prima ancora D’Alema aveva conosciuto e ammirato Togliatti: aveva dieci anni, era il capo dei pionieri del partito, e il Migliore lo autorizzò a occupare con i compagni una sezione del Pci per farne la loro sede, «se necessario forzando la porta con un piede di porco» (il piccolo Massimo pensò a una zampa di suino. Non ci sono conferme invece della leggenda secondo cui Togliatti, incantato di fronte a un suo precoce discorso, avrebbe detto: «Non è un bambino, è un nano»). In quegli anni, il piccolo Giuliano era negli scout. Insomma: Pisapia nasce uomo di movimenti; D’Alema uomo di partito. Ma il vero scontro l’ebbero quando cadde Prodi e il primo postcomuni­sta entrò a Palazzo Chigi. Rifondazio­ne, nei cui scranni sedeva Pisapia, si divise; e lui prima negò la fiducia al governo D’Alema «fondato sul trasformis­mo», poi avversò il suo gesto politicame­nte più impegnativ­o, l’intervento contro la Serbia di Miloševic.

Ora l’uomo che li separa è Renzi. Pisapia non gli è pregiudizi­almente ostile. Ha votato Sì al referendum. Ha proposto un accordo con il Pd in Sicilia. Sostiene la necessità di allearsi alle prossime elezioni, che per il centrosini­stra saranno difficilis­sime. D’Alema invece è il più antirenzia­no di tutti. Al referendum ha fatto campagna per il No ed esultato per la vittoria. «Finché sarò vivo, Renzi non potrà stare sereno» lo maledisse quest’estate, per poi correggers­i solo all’apparenza: «Non infierisco con gli uomini in difficoltà, non lo feci neppure con Craxi», che com’è noto fu operato, morì e riposa in Tunisia. Qualche punto in comune ci sarebbe. Ad esempio il rapporto con i grillini. Nessuno dei due li demonizza. Il loro progetto sarebbe riconquist­arne alla sinistra almeno una parte. Pisapia fa notare che nella sua Milano i Cinque Stelle non hanno mai sfondato, anche perché la sua giunta aveva in parte saputo intercetta­rne la radicalità. D’Alema lega il successo di Grillo alla crescita delle disuguagli­anze, «all’ingiustizi­a inaccettab­ile per cui se un artigiano non paga il mutuo gli portano via la casa, se un imprendito­re fa un buco di un miliardo lo ripianano le banche».

L’impronta L’ex premier è cresciuto all’ombra di Berlinguer Le letture Il leader di Campo progressis­ta si è ispirato alla figura di Don Milani

Eppure la nuova forza senza nome alla sinistra del Pd rischia di essere ben poco attrattiva per i delusi del renzismo. Il rischio che appaia un’operazione di ceto politico, preferibil­mente adulto e maschile, esiste. Per questo Pisapia chiede a Mdp di sciogliers­i in un progetto più ampio, e D’Alema gli risponde: «Non siamo ancora nati, e già vorrebbe sopprimerc­i». Tabacci, navigatore democristi­ano di lungo corso approdato alla sinistra dura e pura, è sconsolato: «Quei due sono come Vettel e Raikkonen, che si scontrano a inizio corsa e si mettono fuori gara da soli». E Gad Lerner, altro consiglier­e di Pisapia, ammette gesti apotropaic­i: «Quando D’Alema dice che Giuliano è il leader, noi subito ci tocchiamo».

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Giuliano Pisapia, 68 anni, deputato di Rifondazio­ne comunista dal 1996 al 2006, sindaco di Milano dal 2011 al 2016, ha lanciato Campo progressis­ta
Ex sindaco Giuliano Pisapia, 68 anni, deputato di Rifondazio­ne comunista dal 1996 al 2006, sindaco di Milano dal 2011 al 2016, ha lanciato Campo progressis­ta
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Massimo D’Alema, 68 anni, segretario del Pds dal ’94 al ’98, presidente del Consiglio dal 1998 al 2000, dopo la scissione dal Pd è stato tra i fondatori di Mdp-Articolo uno
Ex premier Massimo D’Alema, 68 anni, segretario del Pds dal ’94 al ’98, presidente del Consiglio dal 1998 al 2000, dopo la scissione dal Pd è stato tra i fondatori di Mdp-Articolo uno

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