Le sette mosse in mano al premier
Dagli 007 online all’(improbabile) uso dell’esercito Senza escludere l’aiuto dei cardinali
«State tranquilli, il governo sa perfettamente quello che deve fare». A luglio Mariano Rajoy rassicurava così chi gli chiedeva quale sarebbe stata la linea ufficiale rispetto al referendum indetto dalla Generalitat. Tre mesi dopo, spronato anche da re Felipe VI, il premier deve uscire dall’ombra. Cosa può fare, a questo punto, il leader che finora si è limitato a reagire alle mosse altrui – Puigdemont & soci – più che ad agire di motu proprio?
1 L’articolo 155
«Useremo tutti gli strumenti che la Costituzione offre», afferma il governo. Il più citato è l’articolo 155 che «ove la Comunità autonoma... attenti gravemente agli interessi generali della Spagna», dà al governo il potere di «adottare le misure necessarie». Il premier deve specificare per iscritto quali e sottoporle al dibattito e al voto del Senato, che deve approvarle a maggioranza assoluta. E il Partito popolare (Pp) di Rajoy ce l’ha. Cosa significhi il termine «misure» è oggetto di dibattito fra i costituzionalisti. L’ipotesi più accreditata è la sostituzione del President (di cui gli organi giudiziari potrebbero ordinare l’arresto) con il «prefetto» di Barcellona, Enric Millo i Rocher. A catena, stessa sorte per ministri e funzionari della Generalitat. Il governo di Madrid potrebbe anche indire nuove elezioni in Catalogna, ad alto rischio però di una sconfitta bruciante.
2 Sicurezza nazionale
La legge approvata nel 2015 con un accordo fra Pp e socialisti (Psoe), permette al premier, tramite decreto reale, di organizzare una struttura che garantisca «la sicurezza della Spagna e i suoi principi e valori costituzionali». Ossia di assumere direttamente, senza dibattito in Parlamento, ampi poteri. Per entrambe queste prime due opzioni, è prevedibile il sostegno operativo di Guardia Civil e Policia nacional, e un ruolo limitato dell’esercito a protezione delle infrastrutture strategiche.
3 Intervento militare
Come tutti gli eserciti nazionali, lo Stato maggiore spagnolo ha un piano d’intervento in caso di secessione interna. È (per ora) improbabile. Sarebbe necessario decretare lo stato di d’eccezione o quello d’assedio, destinati a circostanze particolarmente gravi (guerra, tumulto popolare, disgregazione del corpo sociale), che consentono di sospendere il rispetto delle leggi scritte, anche a scapito dei diritti individuali. Serve la maggioranza assoluta in Congresso ed è escluso, al momento, che il Psoe di Pedro Sánchez accetti. Per un’operazione puramente «dimostrativa» bastano 3-5.000 soldati. In caso di resistenza passiva (certa) o attiva (possibile) il numero sale. Per il controllo totale del territorio si dovrebbero schierare almeno centomila soldati, e l’esercito spagnolo non li ha.
4 Cybersicurezza
È un intervento militare senza impiego di truppe sul terreno, attraverso il controllo dei «servizi essenziali»: acqua, elettricità, trasporti, telecomunicazioni, rete internet. Forze armate e intelligence hanno dipartimenti dedicati.
5 La Chiesa
Rajoy ha incontrato martedì alla Moncloa i cardinali ed arcivescovi di Barcellona e Madrid, Juan José Omella e Carlos Osoro, vicini al Papa. Assente invece il presidente della conferenza episcopale, monsignor Bláquez, che settimana scorsa aveva invitato entrambe le parti «al dialogo» (’equidistanza non gradita al premier). Ieri il Governo catalano ha preso contatto con l’Arcivescovado di Barcellona per vagliare la possibilità di una mediazione. Da non escludere.
6 Mediazione europea
L’ha chiesta la Generalitat, ma è altamente improbabile. Da «questione nazionale», la sfida catalana conquisterebbe il rango di «crisi internazionale». Una sconfitta per la Spagna sovrana. Potrebbe però emergere una figura non formalmente legata all’Ue.
7 Il re
Dopo il duro intervento in Tv, è plausibile che ora torni a tessere le sue tele dietro le quinte.