«Tante vicende simili sono venute fuori ma non si interviene»
«La retribuzione di un assistente dipende dall’accordo che si prende con il parlamentare. È come se uno avesse bisogno di una signora delle pulizie... Cosa si fa?». A un certo punto della chiacchierata Francesco Comellini, ex assistente parlamentare, guai a chiamarlo «portaborse», spiega la trattativa fra il deputato e il collaboratore. Lo scandalo che ha investito il sottosegretario Domenico Rossi non lo stupisce: «Prima delle elezioni a cadenza ormai fissa escono fuori vicende simili. Salvo poi vedere che non si interviene».
Quanti Rossi e Caruso ci sono in Parlamento?
«Esistono. Ma il problema è che la professione esiste e va disciplinata come si è fatto al Parlamento europeo».
Lei come è stato assunto?
«Fra il 2005 e il 2006 mi è stato offerto di collaborare con un deputato».
Da chi?
«Un amico. E ho risposto: “Perché no?”».
Chi era il suo datore di lavoro?
«Giuliano Cazzola, deputato del Pdl, persona lodevole che dà il giusto peso al lavoro. Si figuri che il mio era un contratto certificato dalla Fondazione Marco Biagi. Però voglio dire che questa non è una semplice professione. Negli altri Stati è uno status giuridico ad hoc. Cazzola fece la proposta di far erogare gli stipendi degli assistenti direttamente dalla Camera. Ma sono i presidenti delle Camere che devono intervenire».
È stato anche presidente dell’Associazione nazionale collaboratori parlamentari. Poi cosa è successo?
«Tutto è stato manipolato perché si voleva strumentalizzare la questione. Ho avuto delle ripercussioni».
A cosa si riferisce?
«Fra il vaso di coccio e quello di bronzo chi si rompe prima?».
Io ho avuto un contratto certificato con Cazzola Ma negli altri Stati gli assistenti hanno uno status giuridico ad hoc, la professione va disciplinata
i contratti dei collaboratori parlamentari (315 di collaborazione, 150 di lavoro subordinato e 147 autonomi)