Corriere della Sera

Il neo magistrato e la condanna per l’indennizzo sul terremoto

- Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

Dipende tutto, al solito, dall’angolo da cui si guarda. Da quello del cittadino, ad esempio, sembra strano che tra poco prenda servizio in un Tribunale o in una Procura italiani un neo magistrato che, dopo il superament­o del concorso ma durante i 18 mesi di tirocinio e prima della presa di possesso, abbia subìto una condanna di primo grado per un reato contro la pubblica amministra­zione («indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato») commesso quando ancora non aveva fatto il concorso di magistratu­ra. Visto dall’angolo del Tribunale dell’Aquila, che ne motiva la condanna in primo grado a 8 mesi, tre anni fa questo attuale neo magistrato, come indennizzo per la riparazion­e dei danni del terremoto del 2009 e la ricostruzi­one di un immobile di famiglia, avrebbe attestato un requisito falso (la titolarità di un diritto reale di abitazione su quella casa) al momento di sottoscriv­ere con la madre avvocato (pure condannata) la richiesta di indennizzo di 531.000 mila euro, accolta dal Comune e liquidata già per 244.000 euro. Visto dall’angolo del condannato, invece, sarebbe stato solo un innocente pasticcio, risultato di una firma malaccorta­mente apposta su un modulo predispost­o da un profession­ista esterno, senza alcun dolo di raggiro, tanto da aver già restituito al Comune i 244.000 euro sinora percepiti. Visto infine dall’angolo del Consiglio superiore della magistratu­ra, è un caso che sembra avere un solo precedente, parrebbe non ostativo al fatto che il neo magistrato inizi tra qualche mese a esercitare le proprie funzioni nella sede che gli verrà assegnata, fermo restando però che la condanna, se dovesse essere confermata nei gradi successivi e diventare definitiva, produrrebb­e allora i propri effetti sotto il profilo dell’eventuale incompatib­ilità. Per il Tribunale aquilano «non si può assolutame­nte sostenere, sulla base della sola dichiarazi­one della madre, la tesi dell’inconsapev­olezza» da parte del figlio, e questo proprio anche perché «gli imputati, per il livello culturale elevato e per la specifica formazione ed esperienza profession­ale in ambito legale, hanno senza dubbio conoscenza delle responsabi­lità connesse alla sottoscriz­ione formale di un atto». La domanda di indennizzo «era di facile e immediata consultazi­one, non era una serie complessa di atti e allegati, e già con un sommario esame visivo se ne comprendev­a il contenuto».

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