TOMASSETTI DONNA DELLA RESISTENZA
CLEONICE
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere»
Caro Aldo,
seguo sul Corriere la discussione sulla memoria dell’antifascismo. In questi giorni a Capradosso, suo luogo natale, abbiamo ricordato Cleonice Tomassetti, una donna della Resistenza, giustiziata dai nazifascisti in seguito ad una retata nella primavera del 1944. Era una donna veramente coraggiosa e libera.
Caro vescovo Domenico,
GVescovo di Rieti
li italiani hanno imparato ad apprezzarla per le sue omelie sul terremoto e sui ritardi della ricostruzione, che non hanno concesso nulla né al populismo né alla compiacenza verso il potere politico. Ora lei e i fedeli della diocesi di Rieti avete riportato nella discussione pubblica una figura del tutto dimenticata, di cui un Paese consapevole di se stesso andrebbe orgoglioso: Cleonice Tomassetti.
Della sua vita sappiamo poco. Andò a servire in una famiglia di borghesi romani, che pensavano di fare di lei quello che volevano. Lei fuggì al Nord. Antifascista, tentò di unirsi ai partigiani, ma neppure li trovò: fu presa, torturata, fucilata con altri 41 prigionieri; e fu lei a sostenere gli altri sino alla fine. La sua sorte è stata raccontata da un medico — non un bolscevico: il medico del paese, il dottor Liguori — prigioniero come lei dei tedeschi. «Notai che tra i partigiani vi era una donna, di statura media, di colorito bruno, sui venticinque anni. Anche a costei non furono risparmiati i maltrattamenti, anzi, starei per dire che la dose delle angherie sia stata nei suoi confronti maggiore. Mi parve che, quando arrivava il suo turno, il nerbo si abbassasse sulle sue spalle con maggior furore e più violenti fossero i calci che la raggiungevano da ogni parte. Eppure la coraggiosa donna non solo incassò ogni colpo senza emettere un grido ma, calma e serena, faceva coraggio agli altri giovani, malconci da quella furia bestiale. Poi si levò in piedi e con fare spontaneo, senza forzare il tono della voce, direi quasi con amorevolezza, rivolta ai compagni di sciagura pronunciò queste testuali parole: “Su, coraggio, ragazzi, è giunto il plotone d’esecuzione. Niente paura. Ricordatevi che è meglio morire da italiani che vivere da spie, da servitori dei tedeschi”. Aveva appena finito di parlare che, infuriato, le fu addosso un soldato germanico, che doveva capire un poco di italiano e che del senso delle parole pronunciate era stato messo al corrente da un militare italiano. Quale schifo il contegno servile verso i padroni tedeschi dei nostri militi! Non di tutti per fortuna, perché ne vidi più d’uno fremere di rabbia, osservando ciò che di orribile si compieva intorno a lui».