IL LABORATORIO DELLA SOVRANA
TRIESTE CELEBRA MARIA TERESA CHE LE DIEDE GRANDEZZA Una mostra riflette sulla fortuna economica della città e del suo porto sotto gli Asburgo. Ma la fedeltà a Vienna non alterò la sua identità meticcia
Una scacchiera di strade ben ordinata in senso ortogonale, con in mezzo un canale che dall’odierna piazza dell’Unità corre rettilineo verso il mare: vista da lontano, la città «nuova», o come lo si chiama anche il Borgo teresiano, offre l’immagine di un quartiere disegnato a tavolino. A fianco, il resto della città «vecchia» perde ogni simmetria: i quartieri posti sotto il colle di San Giusto, riprendono l’andamento irregolare di una qualsiasi città medievale italiana, piena di piazzette, vicoli storti, abitazioni addossate l’una all’altra.
Questo contrasto visivo nasconde una buona parte della storia, non solo urbanistica, di Trieste. Vecchia è la città che gli Asburgo si annettono nel 1382, per poi lasciarla ai margini di un grande impero che non sa cosa farsene del mare. Nuova è invece la città che a inizio Settecento diviene il terminale del progetto di dotare le province austro-boeme, il nucleo storico asburgico, di uno sbocco mediterraneo. Nel 1719, per decisione dell’imperatore Carlo VI, Trieste e Fiume ottengono lo status di porto franco, anche se è soprattutto la prima ad approfittarne.
Grazie alle franchigie commerciali la città cambia pelle; aumentano i suoi abitanti (in appena un secolo da 5.000 a 30.000) attirando gente da un po’ ovunque: serbi, sloveni, tedeschi, olandesi, greci, armeni, turchi, francesi, italiani si stabiliscono lì. «Ricercatori di fortuna, venuti d’Oriente e d’Occidente» li definirà Angelo Vivante nel 1912, con un pizzico di nostalgia per un’atmosfera cosmopolita ormai travolta dai contrasti nazionali. Intanto però, all’operosità di quelle migliaia di nuovi abitanti occorre fare spazio e da que- st’esigenza nasce l’espansione del borgo teresiano, costruito in fretta sui terreni di vecchie saline in disuso, dove vengono edificati i fondaci e i palazzi della nuova borghesia commerciale.
Una volta presa la decisione di spostare da Venezia a Trieste l’asse portante dei traffici fra l’Adriatico e l’entroterra centroeuropeo, gli Asburgo non tornano più indietro. Riversano sulla città un flusso di investimenti finanziari che svecchiano l’economia e il profilo di chi la abita. Immigrati da mezza Europa, uomini di formazione culturale settecentesca attivi nel commercio, mettono radici in fretta. La progettualità illuminista, tuttavia, comporta dei costi. Ha incrinato i privilegi dell’antico ceto patrizio locale, che fatica a rassegnarsi di averli perduti. Da Maria Teresa (figlia di Carlo VI) a Giuseppe II, quando Trieste diviene sede di un «cesareo-regio governo», sono le direttive dal centro a dettare l’agenda municipale. Senza l’aiuto di Vienna, non si potrebbero immaginare né la crescita economica, né il ruolo amministrativo. La nuova e grande Trieste mostra qui un segno di debolezza che si porterà dietro per sempre. Per di più, il governo asburgico, in modo abbastanza irragionevole, ha unito alla città un retroterra a maggioranza slovenocroata (la provincia del Litorale adriatico), che non possiede un patrimonio di tradizioni storico-linguistiche condiviso con il suo capoluogo.
Per tutto il secolo XVIII e almeno la prima metà di quello successivo, le contraddizioni sono tenute a bada dalla ricchezza. Il volto cosmopolita di Trieste attraversa incurante la rivoluzione francese e quella del 1848-49, la prima in cui si assiste a qualche discorso di genere nazionale. In realtà, le differenze emerse tra le componenti lealiste o filo-italiane sono minime: ceto mercantile e municipalità, città «nuova» e «vecchia», finiscono per amalgamarsi in nome del primato della logica economica. Sono visioni in fondo non incompatibili perché esprimono l’opinione di un’élite locale che litiga su molte cose ma non arriva a mettere in dubbio il nesso con l’impero.
Così, fino a metà ’800 almeno, il sogno mediterraneo di Carlo VI e Maria Teresa, di renderla l’unico hub portuale dell’immenso impero asburgico, regge.
Trieste continua a macinare merci, richiama flussi migratori, per lo più operai slavi che trovano lavoro nei cantieri navali. È la quarta metropoli dell’impero, ma sembra un’isola priva d’interessi per quanto accade attorno a lei. La fedeltà all’impero che si respira dentro i palazzi cosmopoliti del Borgo teresiano, non basta a rendere Trieste una città del tutto austriaca; mentre nelle case dei quartieri vecchi, dove abitano la media borghesia di lingua italiana e gli operai slavi, quel sentimento svanisce nelle fatiche di ogni giorno.
Eppure la quarta metropoli dell’impero sembrava un’isola indifferente a quanto accadeva intorno a lei
*Docente di storia moderna all’Università di Trento. Ha scritto L’impero asburgico (il Mulino, 2014)