Corriere della Sera

Io debutto da solo

«Una questione privata» in anteprima alla Festa del Cinema Paolo Taviani per la prima volta regista senza Vittorio «Alla fine dei ciak mi voltavo cercando mio fratello»

- Valerio Cappelli

L’unica volta in cui Vittorio Taviani si scosta da suo fratello Paolo, è quando spiega perché la regia di questo film, Una questione privata, dal romanzo di Beppe Fenoglio, porta solo la firma di Paolo: «Due anni fa, in pieno centro a Roma, sono stato investito da un’automobile. Tutto è iniziato con un grande colpo nella schiena. L’incidente mi ha impedito di salire sulle montagne in Piemonte. Ma il film mi appartiene, l’abbiamo sceneggiat­o insieme, scritto i dialoghi, scelto i luoghi e i protagonis­ti, Luca Marinelli, Lorenzo Richelmy e Valentina Bellè. Paolo mi mandava il girato a Roma».

E aggiunge Paolo: «Alla fine dei ciak mi voltavo cercando una risposta da mio fratello, ma non c’era nessuno». Tant’è, nei titoli di testa sarà scritto: è un film di Paolo e Vittorio Taviani. Due fratelli che condividon­o, fotogramma dopo fotogramma, una vita al cinema cominciata nel 1960, una complicità al punto che le loro parole hanno una singola voce, indivisibi­le. Aspettando l’anteprima del 27 ottobre alla Festa del Cinema di Roma (nelle sale dal primo novembre, prodotto da Donatella Palermo, Ermanno e Betta Olmi con Rai cinema) dicono i Taviani: «Fenoglio era come un caro amico, da tempo aspettava che lo rappresent­assimo». Raccontano di quando Omero Antonutti dava voce alla radio a quel libro misterioso su «un impazzimen­to amoroso». L’uno all’insaputa dell’altro, chiamarono l’attore per comunicarg­li le loro emozioni, usando le stesse parole.

Piano piano la nebbia su un progetto accarezzat­o nell’inconscio di entrambi da tanti anni, quella nebbia che pure circonda i paesaggi dalla prima all’ultima pagina, si è diradata. Paolo andò con la troupe sopra le Langhe, nella Valle Maira, evitando fuorvianti distese di vigneti. Con un’epica spoglia hanno ricostruit­o, assecondan­do rigore e poesia che fanno il cinema dei Taviani, una storia «che con la Resistenza c’entra molto poco». Già Fenoglio, quando Garzanti gli chiese il titolo, rispose che non voleva restare il cantore della Resistenza, questo libro è solo una questione privata. «Il film è una freccia scoccata, c’è un giovane che per tutto il libro corre in modo disperato, questo dà già un ritmo alla scrittura», raccontano.

Nell’estate del ’43 tra i boschi piemontesi tre ragazzi vivono l’estate dei grandi amori. Fulvia è amata da Milton, introverso e appassiona­to, e Giorgio, solare e estroverso. Lei è interessat­a a entrambi. Ma non c’è tempo per crescere. La governante, come il tarlo nell’Otello, insinua un dubbio: Fulvia ha avuto una storia con Giorgio? Per Milton si ferma tutto, la lotta partigiana, l’amicizia. E corre cercando Giorgio, che è stato catturato dai fascisti. «Ancora i fascisti? Sì, stanno tornando, o c’è un tentativo di tornare. Forza Nuova ha attaccato un manifesto preso dalla Repubblica di Salò dove un nero allunga le mani su una donna bionda indifesa».

I partigiani sono una macchia rossa nella nebbia «molle e terribile». «Potevamo intitolarl­o: L’uomo che corre». Si insegue per inseguire altro. I ricordi sono oasi in cui si ferma. «A Calvino quegli inseguimen­ti cavalleres­chi ricordavan­o L’Orlando Furioso. L’amore renderà Milton goffo, ottuso, non capirà più niente, dirà addio ai partigiani, a quel movimento per cui era andato a combattere».

Voi avete fatto baruffe con i fascisti, vi siete picchiati da giovani in Toscana, avete raccontato eroismi e paure della gente comune alla fine della guerra… «Amiamo la Resistenza ma qui è diverso, c’è una lacerazion­e tra pubblico e privato». La grande Storia corre dietro a una piccola storia, che diventa grande a sua volta. Fulvia è al centro, con la sua «bellezza asprigna», ai registi ricorda Aglaja dell’Idiota di Dostoevski­j. Una storia «irrealisti­ca», dura, che vibra di lirismo: il fascista folle che percuote un ramoscello immaginand­o di suonare jazz e sembra il crepitio di un mitra; il polso che un partigiano si fa bruciare come monito ai giovani, si può resistere al dolore, un episodio vissuto da Giuliani De Negri, il produttore dei Taviani che, basco e fucile a tracolla, militò tra i partigiani.

Ci siamo ispirati al romanzo di Fenoglio ma qui la Resistenza c’entra molto poco C’è uno strappo tra pubblico e privato

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Ballo Valentina Bellè (25 anni), Luca Marinelli (32) e Lorenzo Richelmy (27) in una scena del film

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