Corriere della Sera

Il tributo postumo a Kafka delle amazzoni di Cosimi

- di Franco Cordelli

Thanks for hurting me di Enzo Cosimi chiude all’India di Roma la rassegna «Il teatro che danza». È l’ultimo capitolo della trilogia «Sulle passioni dell’anima»: il primo, Fear Party, era dedicato al tema della paura; il secondo, Estasi, al tema del desiderio. Thanks for hurting me (Grazie per avermi ferito) ha un sottotitol­o, Kafka. Un tributo postumo. Sottotitol­o tutt’altro che irrilevant­e, come il titolo allude; e precisa (suppongo) lo stesso Cosimi: «Il coreografo analizza attraverso il movimento il senso del dolore ed esprime quanto il nichilismo abbia annullato ogni valore metafisico».

Ma in Kafka c’era ancora dolore metafisico? Difficile rispondere. Negli Otto quaderni in ottavo scriveva: «Conosci te stesso non significa: Osservati. Osservati è la parola del serpente. Significa: Fatti padrone delle tue azioni. Ma tu lo sei già, sei padrone delle tue azioni. Questa frase pertanto significa: Ignorati! Distruggit­i! Dunque una cosa cattiva. E solo chi si china profondame­nte ne ode anche il messaggio buono, che dice: Per fare di te stesso quello che sei». Si potrebbe riassumere con il titolo dello spettacolo, «grazie per avermi ferito», e tuttavia non potremmo rispondere alla domanda che ci eravamo posti riguardo la metafisica. L’unica risposta possibile la danno le azioni, il movimento. La dà la vita che viviamo o che vediamo vivere. Paola Lattanzi, Elisabetta Terlizzi e Alice Raffaelli entrano in scena in modo eloquente: hanno mutande e collant; e un reggiseno che regge un solo seno, l’altro è scoperto e, quasi, cade. Elisabetta ha una scarpa sola, zoppica. Alice e Raffaella sono scalze. Poi vanno giù riverse, a pancia in sotto, e si rialzano con fatica. Paola si direbbe ne colga il caso per levarsi l’altra scarpa. Dall’essere in piedi, tutte e tre uguali, tutte e tre approfitta­no per togliersi i collant e con essi ricoprirsi la testa. Il mondo si oscura, si prendono per mano, si sciolgono e scuotono i capelli, si chinano, avanzano scattando sulle ginocchia e sulle mani.

Erano delle amazzoni e non sono più neppure delle amazzoni. Ma Elisabetta va sul fondo, si siede, imbraccia una fisarmonic­a, si alza e camminando sulla punta la suona su una nota sola, variandola all’infinito. È un momento di teatro altissimo. In una specie di secondo tempo compaiono dei grembiuli neri, prima se ne copre Elisabetta, dopo Paola e Alice. In questo frangente a dominare la scena sono le braccia e le mani, roteano, scattano in modo meccanico, saltano, si aprono come ali. Dietro di loro un filmato mostra scene di massa, scene di violenza efferata, animali torturati. Non c’è alcun rifugio possibile. Paola si toglie il grembiule, si afferra il pube con una mano e il centro delle natiche con l’altra. Poi si sdraia sulla schiena a gambe larghe, nuda com’è. E nude come sono si sdraiano, allo stesso modo, le compagne.

Le luci si affievolis­cono, lentamente. Quasi fosse un miracolo (ma altro non potrebbe essere) i grembiuli neri sono diventati bianchi. Si sentono rumori lievi sul fondo, rumori di un risveglio mattutino.

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In scena Paola Lattanzi, Alice Raffaelli e Elisabetta Di Terlizzi in «Thank You for Hurting me» di Enzo Cosimi

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