Verdi visionario e sperimentale per «Jérusalem»
Affidare titoli rari a interpreti collaudati e titoli noti a nuove voci della vita operistica, come avviene quest’anno e l’anno prossimo (il programma 2018 è già annunciato), è la scelta che rende plausibile un Festival dedicato al compositore che ne avrebbe meno bisogno in quanto è il più rappresentato al mondo. Si parla naturalmente di Verdi e del Festival che gli dedica il Regio di Parma. Che si è aperto con un nuovo allestimento di Jérusalem, variante grand-opéristica in lingua francese dei Lombardi alla prima crociata, di cui è stata peraltro pubblicata da poco l’edizione critica.
È un recupero che riempie di gioia il cuore, perché l’opera, a dispetto di evidenti disuguaglianze stilistiche, vanta la visionarietà, lo sperimentalismo e l’ambizione drammatica del miglior Verdi dei primi anni di carriera. Se poi la realizzazione non mantiene del tutto quel che promette, amen. Diretta da Daniele Callegari, la Filarmonica Toscanini produce un’esecuzione a voce un po’ alta, che enfatizza i tratti d’estroversione senza rendere merito a quelli più intimi. Hugo de Ana è regista votato alla grandeur. Il genere Grand-Opéra è il suo pane. Ma la messinscena accumula scene, costumi, colori, immagini, proiezioni, sipari, colori, coreografie: «troppe note» che soffocano la musica e ripristinano un modo di far regia certamente non sprovveduto ma ormai datato. Non si ascolta un cast di fenomeni. Ma gli interpreti svolgono il loro compito con coscienza e proprietà stilistica. Bene i protagonisti Ramón Vargas, Annick Massis e Pablo Gálvez. Ottimo il contributo di Michele Pertusi. Applausi.