L’incubo dell’Aids in Francia tra dibattiti, tabù e ingiustizie
Non è del tutto un caso che Robin Campillo, regista dei 120 battiti al minuto (il tempo di una band) sia il creatore dei Revenants e socio di Laurent Cantet. Il film, Gran premio a Cannes, è dispensatore di civiltà e conoscenza sul tema Aids — considerato vintage dalle very idiot persons — e ha l’andamento di una docu-fiction che con un’unica freccia passa dal cervello al cuore.
Campillo rievoca i dibattiti all’Act Up creata nell’89 da gay in massima parte sieropositivi a Parigi contro le ingiustizie: inerzia del governo, ritardi delle case farmaceutiche, ignoranza del tema nelle scuole dove mancano informazione e prevenzione, per cui il divieto, tutto italiano, ai 14 anni suona a sproposito. Tante vite in una, ciascuna le vale tutte e tutte la valgono: flash mob, provocazioni, pride di ogni ordine e grado, installazioni, incursioni (tra cui quella terribile finale), per chi non ricorda i «fantasmi» non riconciliati, infetti da Hiv. L’andamento delle storie è etico e collettivo, ma l’ultima parte melò racconta un amore fragile e disperato che si conclude con la cronaca di una morte annunciata per Aids: un magnifico attore argentino, Nahuel Perez Biscayart. Il film passa dai momenti del «piacere» della denuncia a quelli intimi creando un’unica identità collettiva in cui i coriandoli rosa si trasformano in virus al microscopio e la Senna si tinge di sangue.
Il racconto stesso è un fiume di 140’ che passa e restituisce vita ai militanti sempre presenti nella coscienza: la notte più lunga eterna non è.