Bernardeschi, l’apprendista leader «Lo diventerò alla Juve e in azzurro»
L’ex viola: «Mai pentito di essere bianconero, ma basta a insulti e minacce sui social »
Otto presenze, una sola da titolare (a Bergamo) con un gol e un assist, 175 minuti in tutto. Meno di due partite. Eppure Federico Bernardeschi, mister 40 milioni, l’italiano più pagato in estate dopo Bonucci, neppure per un secondo si è pentito della scelta. E non è neppure sorpreso di aver raccolto, sin qui, briciole di Juventus. Dentro l’Aula Magna di Coverciano racconta sensazioni e stati d’animo, emozioni e obiettivi nella prima intervista vera dopo l’estate di passione e il trasferimento, sempre scomodo, da Firenze a Torino sponda bianconera.
Lo fa mischiando umiltà e la sicurezza che lo anima e lo aiuterà a diventare un campione. Soprattutto, ci tiene a ribadire l’orgoglio di essere juventino. «Ho giocato poco sino adesso, ma non sono preoccupato. Alla Juve è così. C’è un apprendistato da fare. Ed è normale, quando arrivi in una squadra che ha vinto sei scudetti di fila e ha giocato due finali di Champions negli ultimi tre anni. Le panchine non sono un dramma, le ho accettate con serenità e umiltà. E non ho paura di perdere il Mondiale. Ventura mi stima e mi ha confermato la sua fiducia. Se riuscirò a farmi trovare pronto ogni volta che verrò chiamato in causa, non ci saranno problemi».
Si parte da lontano, da un’estate trascorsa sul filo. «Le tensioni ci sono state, ma so come vanno le cose di mercato. Io però mi ero fatto un disegno in testa» e mentre lo dice sorride. Perché alla fine il cerchio Berna lo ha chiuso. «La Juve è la Juve, non è facile entrare subito in sintonia con una squadra che ha sempre voglia di vincere, dal presidente sino all’ultimo dei magazzinieri. Questione di mentalità, quella non si allena. Ho capito che se a Vinovo non si dà il cento per cento i compagni ti passano sopra».
Bernardeschi studia da leader e non lo nasconde. «Il primo passo è dimostrare che sono da Juve. Sto lavorando per diventare un punto fermo della squadra e Allegri mi sta aiutando, il rapporto con lui è ottimo. Quello che sta capitando a me è successo a tutti, anche Dybala all’inizio è stato in panchina. Non sono né il primo e non sarò l’ultimo caso. Funziona così ed è giusto. Ci vuole sacrificio, volontà, qualità».
Poi, dopo il bianconero, intende conquistare l’azzurro «e diventare titolare in Nazionale. Questo è un gruppo bellissimo. La sconfitta con la Spagna ci ha colpito dentro e c’è voglia di rivincita. Andare al Mondiale lo sogno sin da quando ero bambino. E dopo Russia 2018 sono pronto a diventare il leader di una nuova generazione. Il problema è che all’estero ci sono molte più strade per un giovane. Per fortuna adesso le cose stanno cambiando anche qui».
Inevitabile parlare del distacco dalla Fiorentina. Ma Bernardeschi non è Roberto Baggio, se ci sarà un rigore al Franchi non si tirerà indietro. «Certo che lo tirerei. La mia è stata una scelta professionale. Sono e sarò sempre riconoscente alla Fiorentina, che mi ha cresciuto. È anche grazie ai viola se sono arrivato sino qui. Poi ognuno prende la propria strada. Lo ribadisco: sono orgoglioso di far parte della Juventus, la mia non è stata una scelta casuale».
L’ultimo tasto è dolente perché va oltre il pallone. Federico non digerisce i pesantissimi insulti che riceve sui social e ribatte duro, deciso. «Accetto le critiche, ogni professionista deve farlo. Non mi vanno bene, invece, quelli che definisco i leoni da tastiera, che passano il tempo a insultare. A mia sorella, che è appena diventata mamma (di Olivia), hanno augurato la morte della bambina prima ancora che nascesse. Io, per fortuna, ho basi solide. Altri invece sono fragili, soffrono e c’è chi si suicida. È una vera pochezza umana».