Siamo tutti Katia
Katia Ghirardi è la direttrice di una filiale di Intesa Sanpaolo in provincia di Mantova. Con i suoi impiegati ha girato un video autopromozionale per il circuito interno. L’effetto è spontaneo come una recita scolastica e l’esibizione canora intonata come una grattugia. Un video grottesco, ma privato. Almeno finché qualche manina maliziosa lo ha messo in circolo, offrendolo ai conati dell’impunito ruttodromo dei social.
Nel giro di qualche ora Katia è diventata la vittima sacrificale di migliaia di bulli mediatici, che l’hanno irrisa e mortificata come persona, oltrepassando i limiti di un bonario sfottò. Un’agenzia di pompe funebri che non avrà mai il mio cadavere l’ha addirittura usata per la sua campagna pubblicitaria.
Un tempo solo i volti noti finivano nelle tenaglie della morbosità collettiva. L’avvento dei social ha trasformato l’umanità intera in una platea di divi potenziali, senza neanche il ritorno economico che dovrebbe compensare la cessione della propria vita al giudizio feroce dei frustrati.
Sarebbe giusto estromettere i ruttatori dalla Rete come si caccia un deficiente da un bar, ma è ancora tecnicamente difficile. Sarebbe giusto che prima di digitare efferatezze si fermassero a pensare che il loro bersaglio occasionale è un essere umano intriso di fragilità, ma questo è ancora più difficile.