Corriere della Sera

Il «suo» Milan: i tormenti di Berlusconi

IL RETROSCENA CALCIO E POLITICA Il leader (come Salvini) boccia l’allenatore. «Un errore dare la fascia a Bonucci»

- Di Francesco Verderami

Il«suo» Milan è un pensiero ricorrente, un fiume carsico che scompare per poi ricomparir­e. E in quei momenti torna «presidente», «allenatore», «capitano non giocatore». Berlusconi e le perplessit­à sul presente dei rossoneri. Preoccupat­o dal cammino in campionato e perplesso su Montella.

«Sono a vostra disposizio­ne per qualsiasi cosa » , aveva detto Silvio Berlusconi al momento del commiato. Ma da allora, dal passaggio di testimone, c’è stata come una cesura tra i nuovi proprietar­i del Milan e quello che Arrigo Sacchi definisce «l’artefice del rinascimen­to del calcio italiano». Trent’anni di storia rossonera sembra siano stati dimenticat­i in pochi mesi, insieme alla simbologia di un’era che non ha avuto eguali nel mondo del pallone. Il Cavaliere conosce le regole del mercato, anche la loro efferatezz­a, tuttavia non è riuscito a nascondere il proprio dolore quando in estate ha raccontato agli amici che «il mio club» aveva deciso di cancellare il «trofeo Berlusconi», da lui dedicato al padre Luigi: immaginava venisse confermato, sperava di venir chiamato per la premiazion­e.

Invece niente. La scorsa settimana, ricevendo gli auguri di compleanno, gli è stata fatta notare la cura con cui i Suning coltivano mediaticam­ente i rapporti con Massimo Moratti, che resta il testimonia­l dell’Inter, una sorta di garante della linea di continuità per i tifosi nerazzurri. «Il Milan è un pezzo del mio cuore e della mia vita», è la risposta data da Berlusconi: «Vorrei almeno che la squadra andasse bene. È questo il mio rammarico, il mio dispiacere». C’è un motivo se vuole evitare che nulla trapeli del suo stato d’animo: la cortina di silenzio è insieme un gesto d’amore verso i suoi colori e un atto di correttezz­a verso i nuovi vertici.

Però nelle conversazi­oni riservate emerge la preoccupaz­ione del Cavaliere per l’esposizion­e finanziari­a della società che impone fin da questa stagione di fare risultato: «E la squadra non va...». Ha dato ragione a Sacchi, quando il tecnico gli ha spiegato che «ci vuole pazienza » all’inizio di ogni progetto. Ma ci sono cose che Berlusconi non capisce: «Non ho capito la campagna acquisti. Non si era mai visto in una squadra il cambio di 11 giocatori. Con tutti quei soldi, non si poteva acquistare un top player?». Perché è vero che l’ex premier oggi è concentrat­o solo sulle sue aziende e sul suo partito, ma il Milan è un pensiero ricorrente, un fiume carsico che scompare per poi ricomparir­e. E in quei momenti torna «presidente-allenatore». E non si ferma.

D’altronde nessuno si sente di fermare uno che ha imbottito di coppe la bacheca, che ha scommesso prima su Sacchi e

poi su Capello tra lo scetticism­o generale, che ha comprato i Van Basten, i Gullit, i Kakà, i Nesta e gli Shevchenko, che andava in tv a vantarsi di disegnare gli schemi ad Ancelotti, che si dannava se un allenatore non gli schierava il trequartis­ta dietro le due punte. E se, parlando di politica, non manca di ricordare a ogni interlocut­ore i colpi di Stato che ha subìto, appena inizia a parlare del Milan fa lo stesso. Parte dai tempi del closing, quando la trattativa coi cinesi stava per fallire e lui — «con tutti i miei figli contro» — stava per ripensarci. Poi torna alla scelta dell’allenatore: «Volevo che sulla panchina restasse Brocchi. Ma ero in un letto d’ospedale, tra la vita e la morte. E mi dissero Montella».

Se c’è una cosa, forse l’unica, che unisce il Cavaliere a Matteo Salvini è il giudizio sul tecnico. «Non mi piace come sta facendo giocare la squadra, non c’è un’idea», ha detto l’altro giorno in pubblico il segretario della Lega, tifoso rossonero piegato da «tre sconfitte clamorose e imbarazzan­ti». Non è dato sapere se ne abbia discusso con Berlusconi l’ultima volta che l’ha sentito, ma è certo che in privato l’ex presidente del Milan si è addentrato fin nei dettagli tattici della crisi: «Spiegatemi come possono finire spesso in panchina Suso e Bonaventur­a, che sono poi i due calciatori tecnicamen­te più dotati. E come si può fare sempre il solito gioco sulle fasce, per il solito cross in area. Mah... Per andare in rete andrebbero invece sfruttate le qualità dei due, cercando le linee di passaggio interne».

Un tempo la vittima designata di queste intemerate era Adriano Galliani, che domenica scorsa si è trovato allo stadio — come Barbara Berlusconi — a vedere il Milan battuto dalla Roma. Ah, nostalgia canaglia. Ci fosse stato ancora «lui», sarebbe entrato negli spogliatoi per risolvere il problema. Anche se aveva sperimenta­to quanto — a suo dire — fosse limitato il dialogo con Montella: «Gli davo consigli e lui mi rispondeva “Sì presidente, ma la formazione la faccio io”». Una cosa che lo faceva imbestiali­re più delle battute di Salvini, quando solidarizz­ava con quei tifosi rossoneri, indignati davanti ad Arcore per la crisi di risultati della squadra.

Erano gli anni dell’austerity, degli acquisti «a parametro zero», della giostra di vecchie glorie che avevano fatto grande il Milan in campo ma che in panchina non potevano far grande un Milan senza più campioni. Perché così era giunta alla fine l’epopea berlusconi­ana, quella degli scudetti che valevano un punto percentual­e nei sondaggi di Forza Italia. Tale era ormai il malcontent­o che alle Comunali di Milano migliaia di elettori rossoneri avevano scritto «Kakà» sulla scheda, in segno di protesta dopo la cessione dell’asso brasiliano. La vendita del Milan fu per Berlusconi «un modo per farlo ritornare grande», e in virtù di quell’ultima promessa la Curva gli riconobbe i meriti per il passato e l’intuizione per il futuro.

Ora quella promessa il Cavaliere vorrebbe fosse mantenuta. Da tifoso spera che la squadra inverta la tendenza. Perché sta per arrivare il derby, e c’è una storia da difendere, sebbene nel cambio di gestione una antica tradizione sia andata smarrita. Cosa che Berlusconi ha preso male quanto i risultati e l’assenza di gioco: «È stata data la fascia da capitano a un calciatore che è stato per anni la bandiera della Juventus». Nel solco dei Rivera, dei Baresi e dei Maldini, è una scelta che gli appare insopporta­bile e non certo per le indiscutib­ili qualità umane e calcistich­e di Bonucci: «C’è Montolivo. La fascia andava affidata a lui». Quanti errori, insomma. Non che «lui» non ne abbia commessi. «Quando gli consigliai Sarri per la panchina — ha raccontato di recente Sacchi — lui scelse Mihajlovic. E se ne pentì». Forse l’era di Berlusconi al Milan avrebbe avuto un altro epilogo. O forse non avrebbe avuto epilogo, chissà.

Montolivo doveva essere il capitano, non un calciatore per anni bandiera della Juventus Non ho capito la campagna acquisti, con quei soldi non si poteva acquistare un top player?

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La cessione Silvio Berlusconi a Villa Certosa insieme con Li Yonghong, presidente di Sino-Europe, il 5 agosto 2016, quando è stato firmato il preliminar­e per la vendita del club. Il Milan ora è settimo
 ??  ?? I successi Silvio Berlusconi solleva la Coppa dei Campioni: è il 1990 e il Milan di Sacchi e degli olandesi ha battuto a Vienna il Benfica, confermand­osi squadra più forte d’Europa
I successi Silvio Berlusconi solleva la Coppa dei Campioni: è il 1990 e il Milan di Sacchi e degli olandesi ha battuto a Vienna il Benfica, confermand­osi squadra più forte d’Europa
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Nel 2007 Silvio Berlusconi posa con la Champions League vinta dal Milan ad Atene dopo aver battuto il Liverpool 2-1 Con il presidente, Carlo Ancelotti e l’ad Adriano Galliani

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