Corriere della Sera

Il Taj Mahal scompare dalle guide La censura indù sul tesoro moghul

Per i nazionalis­ti il capolavoro d’arte islamica non rappresent­a l’India

- Alessandra Muglia

Il Nobel Tagore lo definì «una lacrima di marmo, ferma sulla guancia del tempo». Milioni di persone affrontano ogni anno lunghi viaggi per poterlo ammirare e per rivivere, tra le sue forme imponenti e i marmi dai colori cangianti, una delle storie d’amore più struggenti mai tramandate. Quella dell’imperatore moghul Shah Jahan che pazzo di dolore per la perdita della moglie prediletta onorò la promessa fattale in punto di morte: non dimenticar­la mai e costruire, a sigillo di questo amore eterno, il mausoleo più spettacola­re al mondo: il Taj Mahal. Il monumento prenderebb­e il nome proprio da lei, Mumtaz Mahal, morta durante il parto del 14esimo figlio, e non in un incidente stradale come azzarda in The Millionair­e il trovatello protagonis­ta del film di Danny Boyle che tra i suoi mille lavori di strada a un certo punto si improvvisa guida abusiva di una coppia di stranieri nel celebre palazzo. Ma quello che è considerat­o l’edificio emblema dell’India e icona dell’amore senza fine (è ancora qui che — sempre in The Millionair­e — il giovane protagonis­ta porta l’amata Nita, in una notte di luna piena, per dichiarars­i), è scomparso dalla lista dei siti turistici nella guida appena pubblicata dal governo

dell’Uttar Pradesh, lo Stato indiano che lo ospita. Come se di colpo non trovassimo più la Grande Muraglia tra le mete in Cina, o il Colosseo a Roma.

Non una dimentican­za, a quanto pare. L’Uttar Pradesh da marzo è guidato da un guru indù conosciuto per le sue posizioni estremiste nei confronti delle minoranze religiose, musulmani in primis. Adityanath, questo il suo nome, eletto nelle file del Bjp, il partito

dei nazionalis­ti indù guidato dal premier Narendra Modi, di recente aveva già polemizzat­o con l’usanza indiana di omaggiare i visitatori stranieri di rango con mini riproduzio­ni del Taj Mahal: costruito dai moghul, islamici, questo reperto non è rappresent­ativo della cultura indiana, aveva spiegato il religioso. Del resto lo scorso giugno lo aveva persino escluso dai monumenti indiani beneficiar­i dei fondi destinati alla manutenzio­ne

dei beni artistici.

Nel nuovo vademecum turistico questo capolavoro dell’arte islamica, annoverato tra le sette meraviglie del mondo e dichiarato patrimonio dell’Unesco, è stato rimpiazzat­o, manco a dirlo, da siti induisti come Mathura — considerat­o il luogo di nascita del dio Krishna — e Ayodhya, la città dove sarebbe nato il dio Rama, luogo da secoli al centro di una disputa tra le comunità islamica e indù.

La mossa ha sollevato polemiche, con accademici, storici e politici che si sono scagliati contro il tentativo di ridurre la cultura indiana a quella induista, in un Paese laico, multicultu­rale e multirelig­ioso per nascita e tradizione. «È come eliminare il Principe di Danimarca dall’Amleto di Shakespear­e» ha tuonato il portavoce del partito del Congresso, all’opposizion­e, mettendo in

Uttar Pradesh Il mausoleo non è tra i siti turistici della guida pubblicata dal governo dell’Uttar Pradesh

risalto l’aspetto tragicomic­o della faccenda.

Certo non basterà cancellare il Taj Mahal da una brochure di promozione turistica per compromett­ere la sua forza d’attrazione. Ma che il nazionalis­mo culturale indù non sappia integrare questo capolavoro nella propria narrativa ne mette in mostra la debolezza. Tra l’altro l’autore del romanzo da cui è tratto il film The Millionair­e, ambientato anche al Taj Mahal, è Vikas Swarup, attuale portavoce del ministero degli Esteri. Che debba rivedere anche lui la sua opera?

 ??  ?? Gioiello In visita al Taj Mahal, patrimonio Unesco tra le sette meraviglie del mondo (Alessio Mamo/Redux/Contrasto)
Gioiello In visita al Taj Mahal, patrimonio Unesco tra le sette meraviglie del mondo (Alessio Mamo/Redux/Contrasto)

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