Battisti sfida l’Italia dal carcere «Io non temo l’estradizione»
Tutto in mano al presidente Temer. Mistero sulla polvere bianca trovata in auto
Il destino di Cesare Battisti è nelle mani di uno dei leader politici più impopolari del mondo, il presidente brasiliano Michel Temer. Il suo 5 per cento scarso di approvazione, nessuna chance di essere rieletto e qualcuna in più di essere condannato per corruzione, gli concedono margini di manovra che in questo momento possono tornare utili alla nuova offensiva italiana per ottenere la consegna dell’ex terrorista.
Il ministro Angelino Alfano ha ammesso che è in corso una trattativa: da una parte c’è il nostro governo attraverso l’ambasciata di Brasilia, dall’altro il Planalto, cioè la presidenza brasiliana. Sul tema Battisti, Temer non ha alcuno dei problemi che per anni hanno tormentato Lula, cioè la pressione di una militanza di sinistra e le acrobazie dell’allora ministro della Giustizia Tarso Genro, per non citare il pressing degli ambienti
In cella Battisti interrogato nel commissariato di Corumbá, si attende la decisione del giudice La trattativa Roma lavora con le autorità brasiliane. L’ex terrorista era con due militanti del sindacato
francesi in favore del pluriomicida latitante.
Certo, occorre un percorso giuridico sostenibile per ribaltare le decisioni precedenti, ed è questo che il governo Temer dovrebbe cercare. Il leader brasiliano ha già abbastanza problemi con la giustizia del suo Paese per cercarsi una nuova grana senza nulla da guadagnarci, e le ragioni italiane dovranno essere molto convincenti. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha ribadito che l’estradizione è possibile, «la richiesta dell’Italia rimane ferma e ci sono tutti i presupposti sulla base del diritto internazionale perché questa sia realizzata». Resta da vedere se l’ultimo episodio, il tentativo di fuga, sarà in grado di aggiungere cartucce all’arsenale della diplomazia italiana. L’ideale per le nostre autorità è che Battisti resti detenuto mentre si svolgono le trattative per l’estradizione, ma non è detto che ciò sia possibile. Per i brasiliani il tentativo di fuga non è certo un reato, e la gravità degli altri è assai relativa.
Nel frattempo Cesare Battisti ha passato una notte e un’altra giornata nel commissariato di Corumbá, la città di frontiera dove è stato fermato, e nel tardo pomeriggio è stato ascoltato da un giudice in teleconferenza, il quale dovrà decidere se rimetterlo o meno in libertà. È un magistrato noto, Odilon de Oliveira, ha indagato sui grandi traffici di cocaina nello Stato del Mato Grosso do Sul, al confine appunto con la Bolivia, e sui narco boss di Rio.
L’ex terrorista è stato ufficialmente fermato al confine solo per eccesso di valuta straniera ( 6.000 dollari e 1.300 euro) con la possibilità di una ulteriore imputazione per riciclaggio, ma c’è un altro particolare che spunta dal verbale: «Un piccolo contenitore arancione con dentro un residuo di polvere biancastra» è stato trovato nell’auto che portava Battisti e due amici verso la Bolivia. È ancora presto per sapere se si tratti davvero di cocaina, e comunque suonerebbe folle cercare di passare indisturbato una frontiera con la sostanza proibita che più si produce dall’altra parte.
Ma nella storia infinita delle fughe di Battisti tutto è possibile, realtà e fantasia si sono incrociate in varie occasioni. Anche il racconto dei tre su un viaggio di piacere per pescare e fare shopping non sta molto in piedi, a parte che non è stata trovata alcuna attrezzatura nell’auto che lo giustifichi. I due amici che lo accompagnavano, uno è avvocato, sono militanti della Cut, il maggior sindacato brasiliano, legato a Lula, che da anni lo aiuta e gli fornisce probabilmente anche i mezzi per vivere. L’auto caricava varie valigie e tra le annotazioni di Battisti c’erano i contatti boliviani che avrebbero dovuto aiutarlo nel nuovo capitolo della sua fuga infinita.
Alla polizia locale Battisti ha riassunto la sua vicenda giudiziaria in Brasile, sostenendo di non temere le richieste italiane di estradizione grazie al decreto dell’ex presidente Lula, e a una sentenza che dichiarava prescritti i suoi reati nel 2013. Infine ha sostenuto che il decreto di Lula non può essere rivisto per legge, perché sono passati più di cinque anni da quando è stato emesso. È proprio sul ribaltamento di questo punto che l’Italia cercherà di ottenere la sua vittoria.