Corriere della Sera

I laureati italiani sono pochi e spesso «bistrattat­i» sul lavoro

L’Ocse: occupati in settori slegati dai curriculum, tanti con mansioni di routine

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Pochi laureati (non è una novità) e il paradosso che chi si laurea ha conoscenze poco in linea con quello che serve nel mondo del lavoro. «L’Italia è intrappola­ta in un basso livello di competenze», sentenzia l’Ocse, che ha consegnato al nostro Paese un rapporto in cui fa il punto sui perché di una crescita col freno tirato e su come uscire dalla trappola. Negli ultimi quindici anni, dice l’Organizzaz­ione, i risultati economici dell’Italia sono stati «fiacchi» anche a causa di un livello di competenze relativame­nte basso; di una debole domanda di competenze avanzate; e di un uso limitato di quelle disponibil­i.

Modesti i numeri di quanti arrivano alla laurea: il 20 per cento dei 25-34enni, contro il 30 per cento della media Ocse. «A digiuno di cultura d’impresa, ignari di come ci si comporti sul luogo di lavoro», dice Raffaele Trapasso, che ha coordinato lo studio. Sono una coperta strappata, che non copre le richieste delle aziende, che magari cercano tecnici, scienziati, matematici e trovano una pletora di sociologi e umanisti. Il 35% dei lavoratori è occupato in settori non correlati ai propri studi. Molti — 13 milioni — hanno qualifiche più basse del necessario. Altri, pur laureati, sono addetti a mansioni di routine. Competenze in eccesso (11,7%) o sovra-qualificat­e (18%): uno skill mismatch, per dirla all’inglese, da record. Pochi dottori e poca domanda.

«Non è una novità — commenta Gaetano Manfredi, capo della Crui —: in Italia c’è un problema di qualificaz­ione del capitale umano e di collocamen­to anche dei bravi. Soltanto negli ultimi anni il sistema industrial­e ha compreso che puntare sulla conoscenza è un fattore di competitiv­ità». Ma ci sono colpe anche nelle università, «troppo lente ad aggiornare i piani di studio in base alle esigenze delle imprese», sottolinea Ivano Dionigi, presidente di Almalaurea.

C’è poi un difetto di orientamen­to. «Ai ragazzi che escono dalle superiori, non si spiega che devono seguire la propria

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