Corriere della Sera

ITALIANI ALL’ESTERO ESILIO O ESPERIENZA?

GIOVANI

- Piero Vittorio Molino pierovitto­riomolino@ libero.it

Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere»

@corriere

Caro Aldo,

leggo sul Corriere alti lamenti per i giovani costretti ad andare all’estero. Vivere nella globalizza­zione non forse è roba per noi. Sarebbe certo meglio trovare il lavoro a due fermate di tram da casa e ben retribuito, ma questo è anacronist­ico e un po’ provincial­e. Se partendo dalla Sicilia si fanno oltre 1.000 chilometri per arrivare in Lombardia, e dal Nord Italia si va in Germania, qual è la differenza? Smettiamo di allevare mammoni.

Caro Piero Vittorio,

Capisco che il coro di lamenti che si alza dalle nuove generazion­i — «ci stanno rubando il futuro…» — possa stancare. Però l’Italia è davvero un Paese povero di opportunit­à per loro. Abbiamo troppi laureati disoccupat­i o precari, perché investiamo troppo poco in cultura, ricerca, scuola, università, formazione. L’industria culturale non assume perché i suoi fatturati sono in calo (anche a causa dei giovani che comprano pochi libri, giornali, cd, dvd, e talora non spendono neppure il deprecato bonus cultura). Ogni volta che alla fine di una presentazi­one incontro i lettori, moltissimi mi dicono: io ho i figli in Australia, io a Londra, io a Barcellona. Sono chirurghi e camerieri, antropolog­i e baristi. Vengono da tutti i ceti sociali e da tutte le città, sia del Sud sia del Nord Italia. Molti sono spinti dalla necessità ma anche dall’inquietudi­ne. Le due cose non sono necessaria­mente in contrasto. Tanti preferireb­bero restare a casa, ma non possono perché il lavoro non lo trovano. Tanti sono mossi dalla voglia di cambiare strade, volti, suoni, lingua. E magari vanno agli antipodi a fare, per qualche soldo in più, il lavoro che non vogliono fare nel ristorante o nel bar sotto casa, affidato di conseguenz­a agli immigrati dall’Est Europa o dall’Africa.

Nel mondo globale andare all’estero è un’esperienza positiva. Si impara l’inglese, ci si confronta, si capisce che essere italiani può rivelarsi un’opportunit­à. Ma partire dev’essere una libera scelta, non un obbligo. Occorre creare le condizioni perché chi voglia tornare possa farlo. Per questo serve un grande piano per il lavoro dei giovani. Abbattere la fiscalità è solo il primo passo. Servono idee, progetti. E voglia di lavorare, di mettersi in gioco, di porre il proprio talento e la propria fatica al servizio della terra in cui si è nati.

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