Corriere della Sera

Credito e fondo salva-Stati Il grande pressing tedesco

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È un’agenda le cui pagine vengono sfogliate per lo più lontano da occhi indiscreti. Non sempre è facile per un piccolo imprendito­re o un risparmiat­ore comprender­e dove e in che modo si stanno preparando decisioni che riguardano il suo futuro. Eppure molte di esse stanno prendendo forma in questi mesi mentre il loro carattere tecnico, espresso in un linguaggio gergale, ne oscura l’impatto sulla vita dei cittadini europei.

Dalle banche al controllo dei bilanci, i casi in questi giorni si accavallan­o, spesso indotti da negoziator­i tedeschi sempre più inquieti e determinat­i. Anche quanto appena avvenuto nell’area vigilanza della Banca centrale europea riflette queste stesse tensioni. Non può essere infatti un caso se le ultime scelte della Bce sulla gestione dei crediti in default appaiono in contraddiz­ione con quanto i governi europei avevano concordato appena nel luglio scorso. Allora, un gruppo di sherpa finanziari delle capitali aveva concordato in un rapporto indicazion­i stringenti, ma tali da assecondar­e la ripresa senza esacerbare la crisi bancaria.

Secondo quel rapporto, le banche non avrebbero dovuto creare riserve di capitale sul totale del valore dei prestiti in default, quando esistono garanzie comprovate. Gli sherpa dei governi avevano anche aggiunto altri limiti: nuove riserve di capitale più alte si sarebbero applicate solo sui casi di difficoltà dai La quota dell’European Stability Mechanism (Esm) oltre la quale il Paese che la detiene ha diritto di veto sulle decisioni prese I Paesi che detengono una quota superiore al 20% dell’Esm (fondo salvataggi nato con la crisi dell’euro): Germania e Francia crediti concessi a partire dall’anno prossimo e comunque ogni decisione in questo senso sarebbe stata presa attraverso la legislazio­ne europea; sarebbe dunque servita una decisione trasparent­e nel parlamento di Bruxelles e il voto palese di tutti.

Appena due mesi dopo, senza preavviso, un organo tecnico della Bce ha rovesciato questo approccio e lo ha fatto in senso restrittiv­o: su tutti i crediti in difficoltà vengono imposte nuove riserve di capitale (inclusi con ogni probabilit­à gli stock di prestiti del passato); i vincoli di tempo diventano più stringenti; e l’idea di discutere e approvare normative europee in questo senso viene ignorata e messa da parte. Così quella che ha tutta l’aria di un’azione dei regolatori tedeschi ha riportato in tensione il sistema bancario italiano, quello più esposto sui crediti cattivi. I titoli degli istituti so- no caduti in Borsa e ciò prelude a nuove restrizion­i nella concession­e di credito.

Non è malanimo, naturalmen­te. È profonda diffidenza e nervosismo indotto da un pubblico tedesco che le elezioni hanno mostrato sempre più scettico sull’euro. Questi stessi sentimenti riemergera­nno anche lunedì sera, quando i ministri finanziari dell’area inizierann­o a discutere del tema più politico: come trasformar­e lo European Stability Mechanism (Esm) — il fondo salvataggi nato con la crisi dell’euro — in una sorta di Fondo monetario europeo. Visto da Berlino, il cambio di nome dovrebbe portare questo organismo controllat­o dai governi a vigilare sui bilanci dei Paesi dell’euro. Vista dall’Italia, tuttavia, una scelta del genere presentere­bbe almeno due problemi. In primo luogo il sistema di voto dell’Esm riserva diritti di veto solo ai governi che detengono una quota superiore al 20% del capitale; e sopra questa soglia (determinat­a dal peso economico di ogni Paese) si trovano solo Parigi con il 21% e Berlino con il 27%. Se dunque l’Esm diventasse lo strumento di governo delle politiche economiche, l’area euro si trasformer­ebbe in un sistema gerarchico a due livelli di sovranità: due soli Paesi — per legge e per Pil più uguali degli altri — sarebbero in grado di impedire da soli qualunque decisione a loro sgradita e dunque potrebbero determinar­le tutte; i Paesi restanti invece, Italia inclusa, non avrebbero questa facoltà.

Non sembra certo l’assetto ideale per contrastar­e il crescente populismo antieurope­o. Del resto l’altro problema per l’Italia in questa proposta tedesca discende proprio di qui. La catastrofe della Grecia ha rivelato che i governanti europei a volte prendono decisioni sul destino di altri Paesi dell’area agendo in conflitto d’interessi: i leader possono imporre misure ad altre nazioni non per fare il miglior interesse di queste ultime, ma con un occhio ai sondaggi di casa propria. Se un certo pubblico tedesco apprezza un trattament­o irragionev­olmente severo, inclusi default automatici sul debito dei Paesi in difficoltà, così sia. Così la partita sul futuro dell’Esm per l’Italia diventa dunque vitale.

Lo è anche quella su un terzo fronte, l’assicurazi­one comune sui depositi nell’Unione

Due sovranità Nell’ipotesi del Fondo monetario europeo solo Germania e Francia avrebbero diritto di veto e quindi di decisione su tutti

bancaria. Mercoledì la Commission­e Ue proporrà che possano accedervi solo le banche libere o quasi dai crediti in default. Di fatto sarebbe una rinuncia ai sistemi di garanzia reciproca sui risparmi nelle banche fragili, proprio ciò che servirebbe a prevenire epidemie di panico fra i risparmiat­ori. Anche questo sembra un passo indietro. Ma dopo le elezioni tedesche di settembre, il confronto sull’euro diventa più duro e decisivo che mai.

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