Uno stile fluttuante che ha superato i generi
Notturni del 2009 è l’unico libro di racconti di Kazuo Ishiguro. Dei 5 che lo compongono, dedicati a musicisti acerbi, dilettanti, se non falliti, ricordavo migliore di tutti Malvern Hills. L’ho riletto, è la storia di un ragazzo, un chitarrista, che non riuscendo a Londra a portare a termine «quanto si era prefisso», ossia comporre canzoni, raggiunge la sorella Maggie, che gestisce un caffè nelle Malvern Hills. Maggie e il marito lo ospitano e lui volentieri gli dà una mano. Tuttavia lui preferisce isolarsi, andare in collina con la sua chitarra. È lassù che incontra una coppia di svizzeri, Sonja e Tilo, cui aveva dato l’indirizzo di un albergo tutt’altro che buono perché gli erano antipatici. Ma in aperta campagna le cose cambiano, anche i due turisti svizzeri sono musicisti, innamorati di Elgar. Normalmente si esibiscono in giro per l’Europa. I due sono rapiti dalla musica che il ragazzo va componendo, lui prova il rimorso di aver dato quel cattivo indirizzo. Alla fine del pomeriggio si separano amichevolmente. Quando il giorno dopo lui torna dove li aveva incontrati non c’è che Sonja. Tilo è laggiù, che cammina da solo. Sonja e Tilo hanno litigato, si sono separati. Tilo è un entusiasta e la mattina aveva dichiarato la sua felicità per tutto, albergo compreso; Sonja è realista, l’albergo faceva schifo, la colazione non era buona. Neppure le colline sono il paesaggio che la musica di Elgar faceva sognare, la musica è ingannatrice. Ma a racconto finito, pensiamo noi, non solo la musica. Lo sono gli esseri umani, i loro pensieri, i loro desideri. E tutto Ishiguro è così, non c’è un suo romanzo che non lo sia. Se si considera lo stile (o meglio il tono) del primo, Un pallido orizzonte di colline del 1982, e il tono di quel fantasy che fantasy non è, Il gigante sepolto, si vede una linea da lontano uniforme e da vicino frastagliata. Il tono è sempre medio, come di chi si adatti alle circostanze, prima tra tutte quelle della lingua, poi quella del tema o della situazione, ciò che si sta narrando. Quando lessi Un artista (An artist of the floating world) scambiai la storia del pittore Ono che non sa adattarsi al passaggio dal Giappone tradizionale a quello del Giappone proteso al successo industriale, la scambiai, quella storia, per una semplice elegia epigonale. Ma così non è. Un simile errore si potrebbe commettere persino leggendo il suo capolavoro, Non lasciarmi, o leggendo il romanzo che gli dette il successo internazionale, Quel che resta del giorno — nel quale uno scrittore nato a Nagasaki sembra, come scrittore analitico ma anche nostalgico, e dunque elegiaco, più inglese di un inglese da troppo tempo lontano dalla patria. Questo tono medioelegiaco, che sarebbe giusto definire con un aggettivo di Ishiguro, fluttuante, in Non lasciarmi è doppiamente ingannevole. Nel racconto di Kathy, la protagonista, il tono è questo, ma quanto rievoca ha una logica stringente, drammatica, inappellabile. Non lasciarmi è un romanzo di fantascienza? In un certo senso sì, ne sono protagonisti cloni che hanno davanti a sé 30 anni di vita, mai di più; devono cogliere al volo il meglio che possono nel breve tempo concessogli. Ma nella tradizione di Orwell e Huxley non lo è affatto. Con la loro forza critica i due inglesi intendevano «cambiare il mondo». L’inglese nato in Giappone vuole molto di più: vuole «cambiare la vita», ovvero non vuole niente.