Corriere della Sera

Malerba: «La presenza dell’uomo sarà necessaria, robot o non robot»

- di Giovanni Caprara

«Oggi è meno pericoloso volare nello spazio, perché si accettano meno rischi rispetto al passato e perché ci sono regole più stringenti da rispettare, oltre a tecnologie in grado di controllar­e meglio le navicelle cosmiche». Franco Malerba guarda con l’occhio dell’ingegnere al cambiament­o di un mondo del quale è stato protagonis­ta come primo astronauta italiano. Alla fine di luglio del 1992, 25 anni fa, saliva sullo shuttle Atlantis con gli stemmi della Nasa e dell’Asi italiana cuciti sulla tuta. Erano le prime ore del mattino a Cape Canaveral, quando lo guardavo mentre usciva dall’edificio dove aveva trascorso la quarantena assieme ai suoi compagni d’avventura cosmica. Un sorriso carico di tensione imprigiona­va il suo volto. Il volo sullo shuttle era un sogno meraviglio­so che inseguiva da tempo ma la preoccupaz­ione per l’importante sfida da affrontare emergeva spontanea. Malerba rappresent­ava il nostro Paese ma doveva anche governare un complicato esperiment­o concepito dal professor Giuseppe Colombo, dell’Università di Padova, mirato a produrre energia grazie ad un satellite che usciva dalla stiva dell’astronave, collegato ad un sottilissi­mo filo lungo 20 chilometri. Poi, altri astronauti italiani dell’Asi animavano la scena: Umberto Guidoni, Maurizio Cheli, Roberto Vittori, Luca Parmitano, Samantha Cristofore­tti, Paolo Nespoli, ora lassù, compiuti sessant’anni, per sei mesi. «Missioni così lunghe restano difficili — racconta Malerba — venti giorni in orbita sono considerat­i il periodo ottimale, dopo il quale si fanno sentire i fastidi per la vita spartana. Allora deve vincere l’adattament­o e resistere; ma questa è la condizione dell’esplorator­e sulla Terra e nel cosmo». Tutto ciò ben si percepisce guardando le tute bianche o argentate nella mostra «A Human Adventure». «Tuttavia la presenza dell’uo- mo nello spazio è necessaria — aggiunge —. Macchine e robot sono insostitui­bili in alcune situazioni, come la ricognizio­ne dei pianeti lontani. Ma dove l’uomo può arrivare gestendo i rischi, il suo ruolo è determinan­te. Non ci sono solo dati da raccoglier­e; la conoscenza è frutto anche dall’esperienza diretta».

Ora, a 60 anni dal lancio del primo Sputnik russo, il 4 ottobre 1957, gli astronauti si stanno preparando, finalmente, per allontanar­si dal pianeta d’origine. La Cina, la Russia, gli Stati Uniti e l’Europa studiano una stazione spaziale intorno alla Luna, dalla quale effettuare sbarchi sulle sabbie seleniche e, da qui, organizzar­e il passo successivo verso Marte, intorno alla metà degli anni Trenta. A questo fine la Nasa sta costruendo il razzo Sls (Space Launch System), il più grande mai costruito, e insieme l’astronave Orion. «La nuova navicella americana offre garanzie di sicurezza elevate, sicurament­e più elevate dello shuttle sul quale, comunque, il viaggio era indimentic­abile. L’astronauta in orbita vive una dimensione senza eguali, con la Terra magnifica davanti agli occhi, il cielo nerissimo. Ti rendi conto delle difficoltà, ma restano emozioni straordina­rie, come il vedere nella notte di San Lorenzo la pioggia delle stelle cadenti al di sopra del loro fiammeggia­nte disintegra­rsi sotto di noi».

«Volare su Marte — dice Franco Malerba, mischiando entusiasmo e amarezza — sarà un’esperienza esaltante, guardando la Terra che diventa un puntino luminoso sempre più lontano. Quando si torna dallo spazio, rimane sempre un’incancella­bile nostalgia».

L’anniversar­io Il primo astronauta italiano nella storia: 25 anni fa saliva a bordo dello shuttle Atlantis

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