Fenomenologia del camorrista: Saviano è ormai un format vivente
Paolo Di Lauro, il boss cui gli autori di «Gomorra» si sono ispirati per costruire il personaggio di Pietro Savastano, è il primo dei tre «Kings of Crime» che Roberto Saviano ha deciso di raccontare, una sorta di fenomenologia composita del camorrista (Nove, mercoledì, ore 21,25).
Paolo Di Lauro è stato un grande «manager» del narcotraffico. In pochi lo hanno conosciuto di persona perché alla sua presenza non erano ammessi che gli uomini più fidati e nessun affiliato. Per tanti è stato «Ciruzzo ‘o milionario». Lo chiamavano così perché si diceva che ai tavoli di poker si sedesse sempre con le tasche piene di soldi.
Saviano è ormai un format vivente: i suoi racconti si assomigliano tutti, anche se questa volta c’è una parvenza di lezione universitaria. Alla base un’istanza di orazione civile che si traduce, attraverso una scarna mediazione estetica (aiutata questa volta dall’auricolare), in un grande impatto emotivo per chi è digiuno di queste storie.
Molto più interessante la seconda parte, ovvero l’intervista a Maurizio Prestieri, per oltre vent’anni uomo di fiducia di Di Lauro e ora collaboratore di giustizia. Prestieri parla a ruota libera e i suoi racconti sono impressionanti: non tanto per i crimini di cui parla, ma per il modo con cui li descrive. Un modo a volte allusivo, a volte più diretto, ma sempre sorretto da grande lucidità (ed è questo l’aspetto che fa più paura) e da una visione strategica non comune.
Memorabile il momento in cui racconta come i boss della camorra amassero partecipare al Festival di Sanremo come ospiti: «Sanremo era la visibilità, un modo per essere nell’élite, è il festival della canzone italiana, sei un vip».
A Sanremo bisognava andarci con gli abiti firmati, frequentare i migliori hotel, fare la bella vita, ordinare i vini più costosi: «Ti abitui subito al benessere». E poi la gelida chiusa: «Se a Napoli uno va a lavorare è nu poco scemo».