Corriere della Sera

LE ALLEGRE RICETTE DEI PARTITI

- Di Antonio Polito

Come sarà la politica economica dell’Italia nella prossima legislatur­a? Dipende dal governo che uscirà dalle elezioni, si potrebbe rispondere. Ma forse qualche indizio si può già trarre dalle mozioni che i vari gruppi hanno presentato in Parlamento nel dibattito sul Def. Documenti spesso rivelatori perché destinati a non essere letti da nessuno, dunque scritti senza troppi freni inibitori. Il Movimento Cinquestel­le, per esempio, nella mozione presentata nel dibattito del mattino al Senato impegnava il governo «a sospendere... il rispetto dell’indebitame­nto entro il 3% fino al conseguime­nto di uno stato di benessere sociale... pari ai livelli più elevati della media europea». Chiedeva cioè di derogare unilateral­mente non al Fiscal Compact, ma direttamen­te al Trattato di Maastricht, che ha fondato l’Unione Europea, e dunque a uscire di fatto dall’euro. Un po’ grossa, per chi nel frattempo ha scelto come leader uno come Di Maio, appena andato a Cernobbio per rassicurar­e la business community che i barbari non sono alle porte. E così, tra il mattino e il pomeriggio, la frase scompare dalla mozione grillina presentata alla Camera. Il che fa presagire quantomeno un certo caos programmat­ico sotto il cielo dei Cinquestel­le, in caso di vittoria. L’altro candidato al governo del Paese, il centrodest­ra che prova a riunirsi dopo tanti dissidi, riserva invece una clamorosa sorpresa in materia di pensioni.

La coalizione che per prima provò a riformare un insostenib­ile sistema previdenzi­ale negli anni 90 e che poi votò le riforme di Dini e di Maroni impegna ora il governo «a modificare in maniera drastica e struttural­e» la legge Fornero, che fu votata anche da Forza Italia, «al fine di abbassare l’età per l’accesso al pensioname­nto, reinserend­o il sistema delle quote e le pensioni di anzianità». Tornare alle pensioni di anzianità equivarreb­be a disintegra­re l’equilibrio del sistema così faticosame­nte raggiunto, qualcosa che nemmeno la Cgil osa più proporre. Anche in materia di immigrazio­ne il centrodest­ra chiede la luna nella sua mozione. Sotto la spinta della Lega di Salvini, e per averne la firma sul documento comune, propone infatti di «impiegare le risorse nazionali destinate al settore dell’immigrazio­ne e dell’accoglienz­a a interventi a favore dei cittadini che si trovano in stato di disoccupaz­ione e grave difficoltà». Ora, mentre è legittimo provare a ridurre l’afflusso di migranti quando diventa insostenib­ile, non si vede che cosa si possa fare di quelli già arrivati e in attesa di sapere se hanno diritto alla protezione umanitaria, qualora non ci fossero più fondi per ospitarli e sfamarli. Resta il Pd. Per adesso le sue posizioni si debbono dedurre da quelle del governo, contenute nel Def. Ma per il dopo, e per la campagna elettorale, non si può dire. Renzi per esempio aveva lanciato l’idea, subito accantonat­a da Gentiloni e Padoan, di denunciare l’accordo europeo sul Fiscal Compact dall’Italia sottoscrit­to. Se il governo l’avesse fatto, ora non godrebbe certo della notevole flessibili­tà concessa da Bruxelles sulla via del risanament­o (ormai il pareggio di bilancio è previsto nel 2020). Ma nell’Aula del Senato ci ha pensato lo zelo dei senatori verdiniani a mettere nero su bianco ciò che oggi nemmeno Renzi dice più: «Se l’asticella del deficit di bilancio potesse essere fissata al 2,9%, rispettand­o le regole di Maastricht ma non del Fiscal Compact, l’Italia avrebbe a disposizio­ne altri 23 miliardi da poter destinare agli investimen­ti e alla riduzione del carico fiscale». Ciò che i nostri senatori non dicono è che quei 23 miliardi sarebbero presi a prestito, accrescend­o il nostro già immane debito, e che i creditori ce li farebbero pagare ben più cari, rimangiand­oseli con gli interessi. Soprattutt­o se nel frattempo avessero per caso letto le mozioni presentate in Parlamento dai partiti che si propongono di governare l’Italia nella prossima legislatur­a.

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