Battisti all’Italia, la tentazione di Temer I misteri dell’arresto dell’ex terrorista
Il presidente brasiliano intenzionato a rivedere la posizione di Lula. L’ipotesi di una «trappola»
Un aereo militare è fermo sulla pista di Corumbà da giorni, Cesare Battisti è in stato di arresto nel carcere locale e a parole tutti vorrebbero imbarcarlo in fretta con destinazione Roma per chiudere una storia che dura da troppo tempo. Ma ancora una volta nella vicenda Battisti vanno fatti i conti con la legge.
Il presidente brasiliano Michel Temer è seriamente intenzionato a rivedere la protezione all’ex terrorista accordata da Lula nel 2010 e a consegnarlo all’Italia con una procedura rapida, ma vuole un ultimo parere del Supremo tribunale federale, l’organismo che tutto decide in Brasile. Le nostre autorità si ritengono a un passo dalla meta, ma aspettano a festeggiare. Ci sono i dubbi del presidente e poi i ricorsi della difesa dell’ex membro dei Proletari armati per il comunismo.
Oltre a sostenerne l’intoccabilità come residente permanente, gli avvocati di Battisti attaccano la giustizia per la strana operazione «boliviana». E i dubbi restano: l’ex terrorista è stato spinto alla fuga per creare un caso favorevole all’estradizione in Italia? Comunque sia la vicenda è ancora apertissima e la firma del presidente brasiliano può arrivare in qualunque momento, fine settimana compreso. Il vantaggio per l’Italia è in sostanza la sua detenzione. Il giudice che ha trasformato il fermo in arresto è andato pesante, il tentativo di lasciare il Paese che tra mille polemiche lo ospita viene definito «una trasgressione» alle norme e una «offesa all’ordine pubblico» brasiliano.
Un’operazione preparata con cura, puntando sulle debolezze psicologiche di un uomo in fuga da 40 anni, in eterna paranoia. Le domande sull’arresto di Battisti mentre tentava la fuga sono molte: perché la sua automobile è stata fermata due volte sulla strada verso la Bolivia; come mai un aereo della Fab, l’aviazione militare brasiliana, è su quella pista da giorni pronto a portarlo verso l’Italia? E infine: come mai la convalida del suo arresto è finita sulla scrivania di un giudice che ha pescato nel passato di Battisti piuttosto che giudicarlo sui fatti per cui è stato fermato? L’ipotesi di una «trappola» organizzata dalle autorità brasiliane per agevolare la soluzione finale, qualcosa che assomiglia a una deportazione-blitz, si poggia sulla sequenza degli avvenimenti nelle ultime settimane. A partire dalle notizie pubblicate dal quotidiano O Globo, lo scorso 24 settembre, indicando che il governo italiano aveva nuovamente posto a quello brasiliano la questione dell’estradizione di Battisti, e che in quest’ultimo, a differenza del passato, tirasse un’aria favorevole.
Poiché la richiesta italiana è di parecchi mesi prima, è legittimo pensare che la diffusione della notizia adesso sia stata un messaggio indirizzato proprio a Battisti. Unita all’esito sfavorevole del primo habeas corpus presentato dai suoi avvocati, e a vari problemi di ordine personale, la paura di essere spedito in Italia avrebbe scatenato nell’ex terrorista la decisione di abbandonare la città di São José do Rio Preto, dove vive da qualche anno con la moglie e una bambina, per mettersi in viaggio verso la Bolivia.
Una mossa quasi disperata. I soldi che gli sono stati trovati in tasca (il corrispettivo di 8.000 euro) non sono certo sufficienti a garantirgli un nuovo capitolo dell’eterna latitanza, gli amici che lo hanno accompagnato in auto sono apparsi ancora più sprovveduti di lui, come risibili le motivazioni del viaggio (pesca, shopping). Non è quindi da escludere che Battisti fosse seguito da giorni e sia stato lasciato arrivare tranquillamente fino alla frontiera con la Bolivia, dove a quel punto è stato facile trovare un capo di imputazione per fermarlo: l’esportazione illegale di valuta. Un pretesto, naturalmente.