Corriere della Sera

Pisapia è fermo al bivio: dai bersaniani un’imboscata

Le tensioni (e le telefonate) dopo lo scontro di Ravenna

- Monica Guerzoni

C’è una frase di Pisapia che continua a ronzare nelle orecchie dei compagni di viaggio: «Vado avanti ancora un po’, poi decido». Un’incertezza che giovedì si è fatta ancora più forte, visto com’è andato a finire l’evento di Ravenna per il ritorno di Errani: «Questa serata ha dimostrato che il leader sei tu, Vasco». Una battuta venata dalla diffidenza e destinata a lasciare uno strascico di incomprens­ioni tra Mdp e Campo progressis­ta.

A innervosir­e l’ospite cambiando di segno la serata è stato il pressing sulla data dell’assemblea costituent­e, scadenza che Pisapia continua a procrastri­nare. «Vuole tenersi le mani libere» è il sospetto dei bersaniani, mentre i collaborat­ori dell’avvocato denunciano che «Giuliano è finito in un’imboscata», ordita per consentire a Bersani di scandire il suo ultimatum. «Un mese e mezzo di tempo, non di più». E se Pisapia è rimasto male, Bersani ed Errani «sono rimasti malissimo».

La voglia di rammendare la tela c’è, prova ne siano le telefonate, ieri, tra Bersani, Errani e Pisapia. Ma lo strappo è grande, l’incubo di Pisapia è «fare la fine di Romano Prodi», triturato dalla sua stessa maggioranz­a. «Se deve andare così, tanto vale sfilarsi prima che sia tardi», è la tentazione che si va rafforzand­o. Chi l’altra sera ha partecipat­o alla cena ravennate con l’ex sindaco di Milano — cucinata da Pierangelo, cuoco delle feste dell’Unità passato armi e fornelli con Mdp — ha assaporato tagliatell­e al ragù di mare e interrogat­ivi amletici. «Giuliano non si fida — hanno commentato Bersani ed Errani con i parlamenta­ri di Mdp — Continua a dire che i punti di convergenz­a sono tanti, ma condisce i ragionamen­ti con un sacco di “però”. Bisogna allargare il campo, bisogna essere convinti tutti... Il problema è che lui non avverte l’urgenza della nostra gente, non capisce che adesso è ora di andare».

Pisapia lo capisce, eccome. Se tentenna, è perché aspetta (e spera) che Sicilia e legge elettorale cambino il quadro. Il suo auspicio è che Renzi ne esca malconcio e che nel Pd prenda il sopravvent­o il partito della coalizione benedetto da Prodi, Veltroni, Letta, Franceschi­ni, Orlando. A questo si riferiva Pisapia quando, sfidando i mugugni, ha detto che in politica preferisce la poligamia. Ma il popolo bersaniano non vuole saperne del Pd e Cecilia Guerra chiude al dialogo: «Col Rosatellum si fanno solo alleanze di comodo».

Poi c’è il fattore D, come D’Alema. La richiesta al leader Massimo di fare «un passo di fianco» ha esasperato i rapporti con Mdp, dove ieri in tanti accusavano Pisapia di ingenuità: «Si illude se pensa che gli basti dire no a D’Alema sui giornali per levarselo di torno». Per l’altra metà del progetto unitario «non funziona così» ed Errani lo ha gridato con trasporto: «Giuliano è il nostro leader, ma non è il capo, non comanda da solo». Il nodo? Le candidatur­e. Pisapia soffre la scelta di Mdp di strutturar­si in un «partitino del 3%» con circoli, feste e tessere e teme che, sulle liste, siano gli ex ds a farla da padroni.

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