Corriere della Sera

IL SEGNALE AGLI AVVERSARI PER FAR PASSARE LA NUOVA LEGGE

- Di Massimo Franco

Sta avvenendo quello che si prevedeva: il Movimento 5 Stelle addita l’ipotesi di riforma elettorale che sta emergendo come una legge fatta su misura per danneggiar­lo. È lo schema del «Grillo contro tutti» che si voleva evitare per non offrire un’arma propagandi­stica alla maggiore opposizion­e. Ma il fallimento del compromess­o a inizio estate e l’intesa in embrione tra Pd, FI, Lega e Ap lo ripropone. Con un’insidia supplement­are: il tentativo dei Cinque Stelle di delegittim­are anche il modo nel quale verranno ridisegnat­i i collegi elettorali. Le insinuazio­ni contro la presunta non neutralità del Viminale sono velenose.

Dire che Marco Minniti non sarebbe affidabile in quanto uomo del Pd significa delegittim­are preventiva­mente i risultati delle Politiche. E aprire una polemica che porta a dubbi di costituzio­nalità e possibili ricorsi. Accreditar­e una consultazi­one inquinata alla fonte, per quanto indimostra­bile, può diventare motivo di tensioni infinite. «È una vergogna», replica il Pd a difesa del ministro. Se poi ai Cinque Stelle si aggiungono le critiche dei vertici di Articolo 1-Mdp, nato dalla rottura coi dem, il compromess­o che si sta faticosame­nte cercando può complicars­i.

Il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha detto che oltre le mediazioni in corso non si andrà: «Tertium non datur». Ma Mdp ha subito denunciato un «disegno di legge blindato, da far passare in Parlamento dopo un negoziato extra parlamenta­re». Lo considera «estraneo allo spirito della Costituzio­ne: quella che i cittadini hanno difeso a spada tratta nel referendum del 4 dicembre». Il riferiment­o non è scelto a caso. Punta a ricordare la bruciante sconfitta sulle riforme istituzion­ali.

Le accuse di Grillo E intanto Grillo cerca di delegittim­are la riforma insinuando dubbi anche sul ruolo del Viminale che deve ridisegnar­e i collegi

L’obiettivo è di mostrare un sistema di voto che sarebbe deciso fuori dalle Camere, e senza spazio alle modifiche. Se si pensa che il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, condivide la riforma elettorale ma invita al dialogo con Mdp, il cuneo per impedire l’avviciname­nto è evidente. E inserisce un’incognita residua sulla possibilit­à di approdare a un risultato. L’alternanza di parole gonfie di ottimismo con altre caute, se non diffidenti, lo testimonia.

Si captano riserve sia nel campo berlusconi­ano, sia nell’arcipelago della sinistra. In apparenza, il percorso parlamenta­re è breve; quello politico potrebbe rivelarsi lungo e lastricato di possibili sorprese. Nel Pd se ne ha piena consapevol­ezza. Per questo, nella Direzione di ieri, il vertice ha cercato di mandare segnali distensivi dentro e fuori. Sono state fatte concession­i a Mdp, esentandol­o dalla raccolta delle firme al momento di presentare le sue liste, in cambio di un «sì» alla legge: un «sì» ancora improbabil­e.

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