«La mia passione nata in cella»
Lo chef La Mantia: «In carcere per errore, cucinare mi ha dato la forza per andare avanti» E domani sarà al Dreamers day
o iniziato a cucinare per me e altri 11 detenuti per sognare di essere a casa e non in una cella del carcere Ucciardone di Palermo: preparando i sughi sentivo gli stessi odori e sapori che avevo respirato e gustato sin da bimbo». Era il 1986 ma Filippo La Mantia, oggi uno dei cuochi più famosi, parla come se fosse accaduto ieri. «Sognavo che, prima o poi, avrebbero riconosciuto la mia innocenza — dice mentre dirige la brigata del suo ristorante di Milano — e il 24 dicembre, dopo sei mesi, mi consegnano l’ordine di scarcerazione firmato da Giovanni Falcone: ho visto materializzare il sogno».
La Mantia era un apprezzato fotografo a Palermo. «Nel 1982, a 21 anni, avevo realizzato gli scatti dell’omicidio del generale dalla Chiesa che erano finiti sulle prime pagine dei giornali — prosegue — e nella mia città insanguinata dalla guerra di mafia lavoravo tanto, venivo pagato bene e mi sentivo di aver tutto: soldi, moto potenti e amici con cui ci divertivamo dopo il lavoro».
Poi, all’improvviso, l’arresto. «A 25 anni, mi sono trovato rinchiuso all’Ucciardone con un’accusa infamante sul groppone». Avevano ammazzato barbaramente il vicequestore aggiunto Ninni Cassarà e La Mantia viene coinvolto nell’indagine. «Gli inquirenti sospettavano che i proiettili fossero partiti da un appartamento di cui io risultavo essere l’ultimo affittuario registrato — dice — ma io quella casa l’avevo lasciata mesi prima dell’omicidio e mi ero trasferito a vivere a Mondello. Palermo era davvero una città sotto assedio e divisa: tutti colpevoli o tutti innocenti. Sin quando non è arrivato il provvedimento di Falcone mi sono fatto forza solo grazie al sogno degli odori e sapori familiari». I ricordi sono ancora vivi. «Uno è indelebile, le porte dell’Ucciardone che si chiudono dietro di me e la certezza che con loro si chiudeva anche il mio passato di fotoreporter. Così, dopo un periodo in cui mi sono riappropriato della mia vita, ho iniziato ad avere un nuovo sogno: cucinare per professione».
Il cuoco palermitano fa le prime esperienze in Sicilia e poi si trasferisce a Roma. «È stata dura ricominciare a 40 anni ma pian piano ho ingranato e ho sognato di avere un ristorante mio — afferma — : è finita che ne ho diretti due. A 54 anni volevo rimettermi a sognare e ho deciso di cambiare tutto: nel 2015 mi sono trasferito a Milano e ho aperto un ristorante. Dopo due anni e tanto lavoro mi sento di iniziare a realizzare anche questo».
Un sognatore, certo, ma di quelli pragmatici. Per questo, domani, è stato scelto per raccontare i suoi segreti dal palco del «Dreamers Day 2017», alternandosi con protagonisti di mondi professionali diversi come l’avvocato Stefano Simontacchi, tra i massimi esperti di fiscalità, presidente della fondazione Ospedale dei bambini Buzzi di Milano e consigliere di amministrazione di Rcs MediaGroup. Gli organizzatori hanno come obiettivo quello di far scattare «una scintilla, uno stimolo al cambiamento che renda concreta la frase “ce la farò anche io”».
«Non ho fatto scuole di cucina, non ho avuto grandi maestri, non ho stelle e non ci tengo ad averne — conclude La Mantia — ma sognavo di diventare oste e cuoco e ci sono riuscito. Racconterò domani come ho trasformato in vantaggi gli ostacoli che mi ha posto davanti la vita». Un consiglio? «Sognate a occhi aperti ma il sogno declinatelo al singolare sin quando non è chiaro. Al massimo raccontatelo a chi vi ama e non vi scoraggia».
Ricordo le porte dell’Ucciardone che si chiudono dietro di me e la certezza che con loro si chiudeva anche il mio passato Tutti possono farcela: io non ho fatto corsi, non ho avuto grandi maestri ma sono riuscito nel mio intento