Corriere della Sera

LA FESTA DEGLI ITALIANI A NEW YORK (MA COLOMBO È A RISCHIO)

- di Massimo Gaggi

Orgoglio per l’Italia e la nostra cultura, un po’ di risentimen­to per i meriti non sempre riconosciu­ti, simpatia solare, un po’ di folklore. La festa degli italoameri­cani a New York nel giorno del Columbus Day è sempre stata così. Dopodomani sarà diverso perché quest’anno il simbolo stesso dell’influenza che l’Italia ha avuto nel plasmare una nazione d’immigrati come l’America è messo in discussion­e. Anzi, c’è chi, vorrebbe addirittur­a abbattere la statua di Cristoforo Colombo donata alla città dalla comunità italiana nel 1890, ora vista come simbolo di razzismo e colonialis­mo nel clima di esasperata ricerca della correttezz­a politica che si sta diffondend­o in alcuni circoli politici radicali e gruppi etnici, soprattutt­o dopo gli incidenti di Charlottes­ville attorno alla statua del generale Lee, eroe dei secessioni­sti. A un mese dall’elezione che lo confermerà sindaco di New York col voto della sinistra e di molte minoranze etniche, Bill de Blasio l’altra sera ha festeggiat­o nella sua residenza gli italiani d’America: grandi elogi, racconti delle sue origini, storie struggenti delle discrimina­zioni sofferte dai suoi nonni, ma nessun riferiment­o alla «Columbus Parade» e a Cristoforo Colombo che è stato inserito nella lista dei monumenti sospettati di essere «simboli di odio» e ora sottoposti al giudizio di una commission­e di 18 esperti insediata dallo stesso primo cittadino. Poi tocca all’ambasciato­re italiano negli Stati Uniti Armando Varricchio che esprime subito il suo «tributo a un grande italiano, Cristoforo Colombo». Ed esplode l’ovazione del pubblico mentre Varricchio spiega che i personaggi storici vanno giudicati non su episodi specifici ma per quello che hanno portato nel mondo. E Colombo ha aperto vie nuove di conoscenza, ha aiutato il mondo a divenire un’unica comunità. De Blasio non ha replicato. Ha dato alla commission­e 90 giorni, cioè ha rinviato la grana a dopo le elezioni. Intanto si allunga la lista dei monumenti da abbattere per razzismo: il governator­e Stuyvesant, Ulisse Grant generale unionista e presidente, ma si può arrivare agevolment­e anche a Lincoln e George Washington.

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