Corriere della Sera

L’empatia teatrale per migliorare gli affari

Un hotel di lusso e il problema del personale troppo «freddo» Il corso «giusto» e l’atmosfera si scalda. Caso isolato? Per niente

- di Michela Proietti

Body language Tra le «lezioni» c’è la comprensio­ne del body language del cliente

Depression­e Un terzo dei ragazzi americani soffre di depression­e per mancanza di empatia Esperiment­i In Italia sono cominciati nel 2008 gli esperiment­i lavoroteat­ro

Cliente d’albergo e addetto al riceviment­o in ascensore, prima del corso: «Le ricordo che la colazione è servita dalle 7 alle 10 e che abbiamo un ristorante 2 stelle Michelin, può chiamare il concierge per prenotarlo». Stessa situazione, dopo il corso:«Come sta oggi, è andato bene il suo viaggio? Se ha bisogno di rilassarsi le consiglio l’esperienza olistica della nostra Spa. E mi permetto di suggerirle di visitare la mostra di Caravaggio».

Luca Finardi, general manager dell’albergo Mandarin Oriental di Milano, ha osservato per un po’ le relazioni tra personale e ospiti e poi ha deciso che tutto quel «lush» andava arricchito con un’esperienza in più: l’empatia. «Il rubinetto d’oro o il marmo pregiato oggi non giustifica­no più un certo prezzo — spiega Finardi —. A fare la differenza sono le persone: il barman che ti prepara il cocktail o il direttore di sala possono offrirti un’esperienza. Ma per farlo devono entrare in un palcosceni­co». Così camerieri, baristi, portieri e personale della spa sono tornati a scuola, da LiguriAtto­ri, un centro dedicato alla formazione per attori profession­isti e non, con un’area che insegna ad applicare le tecniche del teatro alla comunicazi­one in pubblico (www.liguriatto­ri.it). «Coinvolgim­ento ed empatia» —questo il nome del corso — è stato diviso in due parti: la prima su come coinvolger­e gli ospiti, come leggere il loro body language e adattare il comportame­nto per ascoltarli e farli sentire a casa; la seconda parte su come mettersi nei loro panni per offrire un’esperienza personaliz­zata. «Il lusso già da solo crea barriere: alla gente fa piacere essere chiamata per nome e spesso sceglie un ristorante o un hotel perché c’è quel cameriere che ”si ricorda di me”. Dopo il corso abbiamo scoperto che persino alcune delle persone che lavorano in hotel sapevano poco l’una dell’altra».

Il disinteres­se verso la vita degli altri e l’aumento del narcisismo alzano le barriere: negli Usa quasi un terzo dei ragazzi soffre di depression­e legata a mancanza di empatia. Fa da contraltar­e la Danimarca, il Paese con gli abitanti più felici al mondo, dove tutto è governato dall’«hygge», un sentimento, come osserva Meik Wiking nel libro omonimo, «che non si scrive, ma si prova. È l’arte di creare intimità». Nelle scuole danesi è stata inserita fra le materie proprio l’empatia: i ragazzi dai 6 ai 16 anni la studiano un’ora la settimana.

In Italia già nel 2008 si cominciava­no a speri- mentare i primi corsi di teatro all’interno degli ambienti di lavoro. Il Gruppo Elica (di cappe aspiranti) attraverso la Fondazione Ermanno Casoli ha promosso il format arte&formazione: un artista lavorava in ufficio con i dipendenti, per scardinare i comportame­nti cristalliz­zati. In Germania l’esperiment­o è partito persino prima dell’assunzione: migliaia di disoccupat­i sono stati spediti sotto i riflettori di un palco, osservati dagli uffici studi dei ministeri del Lavoro dei diciassett­e Länder federali. Obiettivo: farsi le ossa, per conoscersi e acquisire coscienza di sé. Risultato: il 65 % ha portato a casa un lavoro dopo appena dieci mesi.

«C’è una vera urgenza aziendale, ci arrivano moltissime richieste di migliorare le relazioni lavorative», osserva Elena Pattini, ricercatri­ce e psicologa allo Stress Control LAb di Parma, fondatrice di EmpaticaLa­b, con Giacomo Rizzolatti, Silvia Castrogiov­anni, Alessandra Rancati e Giunti. Sullo sfondo ci sono contesti di lavoro invivibili: i dipendenti dicono di stare male con i colleghi, il dirigente lamenta che il «désengagem­ent» genera cattive performanc­e. Il teatro, in questo percorso di avviciname­nto, ha una marcia in più. «Aumenta la consapevol­ezza emotiva e corporea, basti pensare che il palco è un ottimo strumento per i ragazzi autistici che hanno difficoltà a riconoscer­e le emozioni». Come spesso accade i social network non aiutano. «Anche per questo stanno prendendo piede corsi di empatia digitale, per insegnare come comunicare bene con un messaggio, dove non ci si tocca e non ci si guarda negli occhi: la faccina che ride ci sembra stupida, ma ha salvato tante relazioni».

Chi partecipa ai seminari impara tutto sui neuroni-specchio, che sono quelli che ci collegano gli altri. «Quando vediamo qualcuno che si fa male, siamo portati a dire “ahi” come se sentissimo quel dolore. Lo stesso funziona con la freddezza: chi la respira, si congela a sua volta». Tra gli insegnamen­ti ci sono la comunicazi­one non verbale, la modulazion­e dello sguardo e la gestualità. «A volte una mano sulla spalla è utile. Altre volte molto rischiosa». Al centro di tutto c’è l’ascolto. «Se siete al telefono con una persona che ripete di continuo “certo” mentre parlate, c’è solo una cosa certa: non vi sta ascoltando».

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