Corriere della Sera

Guggenheim Bilbao il museo che inventò l’edificio-brand

Vent’anni di successo. E di contraddiz­ioni

- Luca Molinari

ent’anni fa si aprirono i battenti del Guggenheim Museum di Bilbao e il mondo intero gridò alla meraviglia. Quest’oggetto dinamico, forma espressiva e multipla progettata dall’americano Frank Gehry, rivestita da fogli di alluminio bagnati nello zinco, modellati e tagliati grazie a Catia, un programma di disegno derivato dall’ingegneria spaziale, ha cambiato radicalmen­te il modo in cui il pubblico guarda ai musei.

Frutto di un concorso internazio­nale lanciato nel 1992 dalla fondazione newyorkese e la città basca, che voleva ripensare la propria identità in crisi, questo piccolo edificio esplosivo ha improvvisa­mente oscurato tutte le più importanti istituzion­i della vecchia Europa.

Fino alla fine degli anni 90 ogni grande città sognava un Centro Pompidou nel proprio cuore, mentre dal 1998 tutti i candidati sindaci in campagna elettorale prospettav­ano l’idea di un nuovo Guggenheim con cui rilanciare i destini del proprio territorio. Nello stesso anno la Fondazione Getty inaugurò a Los Angeles un’incredibil­e cittadella delle arti pensata da Richard Meier, l’altro enfant prodige dell’architettu­ra americana, e la notizia riuscì a malapena a uscire dal circuito delle riviste specializz­ate. I numeri di questo fenomeno mediatico e artistico sono impression­anti: nel primo anno il museo fece 1.360.000 visitatori, tre volte quanto ipotizzato, con l’investimen­to iniziale recuperato immediatam­ente e un incremento del Pil, di tutta la provincia autonoma basca, a percentual­i cinesi.

Bilbao ha vissuto una rinascita economica e sociale potente, Caos volumetric­o Uno scorcio del Guggenheim di Bilbao, progettato da Frank Gehry con un software aerospazia­le (foto Ap) trainata dalla presenza di questo spazio unico, capace di colpire l’immaginazi­one di un pubblico sempre più vasto che si è riversato negli anni, non tanto per l’importante programma delle sue mostre, ma soprattutt­o per vivere l’esperienza diretta di questo luogo così anomalo.

È come se il Museo Guggenheim abbia chiuso il Novecento raccordand­osi idealmente con la furia cinetica e ubriacante del Futurismo, riassumend­o nelle sue forme e nella sfida tecnologic­a che lanciano il sogno di tutto un secolo, la sua voglia bruciante di produrre opere nuove e segni capaci di resistere al passare del tempo.

Questo edificio rappresent­a anche uno dei vertici di un’architettu­ra pensata come brand, e soluzione all’anonimato di metropoli sempre più uguali e anonime, aprendo la strada a tanti lavori senza senso, urlanti per ricchezza e autorefere­nza. Forza, destino e contraddiz­ioni di un capolavoro che è giusto celebrare ma su cui sarà anche importante riflettere criticamen­te.

Le due facce Ha trainato la rinascita della città spagnola ma ha prodotto anche emuli senza senso

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