Corriere della Sera

Un sentimento pericoloso

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ne è un caso a sé, è chiaro, magari quel tizio aveva pure ragione, ma penso che dovremmo cominciare a scandalizz­arci davanti a certe battute da bar. Anche questa è benzina sul fuoco.

«Ti amo ancora, alla follia. Se mi lasci non so quello che potrei arrivare a fare».

Io e Claudio ragioniamo su quanto sia assurdo che un sentimento di amore possa trasformar­si in odio e portare addirittur­a all’omicidio. «Non è amore — sintetizza lui — è bisogno di possesso misto ad orgoglio». Io penso che in molti casi ci sia dietro anche una certa forma distorta di romanticis­mo. Certe frasi come «sarai sempre mia» o «ti aspetterò per tutta la vita», frasi che magari abbiamo sentito in qualche film e che talvolta magari ci è capitato di pronunciar­e secondo me devono allarmare più che intenerire. Dobbiamo capire che è egoismo, non amore, quello che ci sta sotto, è debolezza emotiva, non condivisio­ne con l’altro. Un sentimento pericoloso.

«Ti chiedo solo cinque minuti, ho fatto uno scatolone con le tue cose, il tempo di dartele e ti lascio in pace. Fallo per la persona di cui eri innamorata, non per quello che ti perseguita. Ti giuro che poi è finita».

Spiego a Claudio — mi sono informato — che ci sono dei centri che aiutano le donne vittime di stalking ma troppo spesso non riescono a fermare il delitto, per questo c’è bisogno che l’aiuto arrivi anche da altri, da tutti quelli che vivono accanto alle donne molestate. Da tutti noi, parenti, amici, colleghi o semplici conoscenti. Questo non vuole dire che dobbiamo fare i supereroi, ma dobbiamo sempliceme­nte imparare ad ascoltare, imparare a vedere i segni e a stare vicino a chi ne ha bisogno. La violenza contro le donne è un problema culturale che va combattuto con un lavoro che durerà generazion­i, ma cercare di arginarlo è compito nostro.

«Ci guardiamo tutti i giorni allo specchio, ma non ci guardiamo mai negli occhi. Cosa sono diventato?».

Io e Claudio ci salutiamo. Torno a casa e mi metto al lavoro. Devo scrivere la sceneggiat­ura per un cortometra­ggio sullo stalking e la violenza contro le donne: sono un regista, me lo ha chiesto il Centro Donna del Comune di Venezia, che produrrà il corto. Io ho accettato, «Il peggio di me», del regista Giovanni Pellegrini, è un cortometra­ggio sullo stalking e la violenza contro le donne, raccontata dal punto di vista maschile. Prodotto dal Centro Donna del Comune di Venezia — sceneggiat­ura di Giovanni Pellegrini e Sara Todeschini, fotografia di Lorenzo Pezzano, montaggio di Chiara Andrich, musiche originali di Francesco Novara e produzione di Anna Stalzer — è a disposizio­ne in forma gratuita (si può vedere su Youtube all’indirizzo: youtu.be/aCZ45b2BVI­Y Per scaricarlo gratuitame­nte in HD scrivere a ilpeggiodi­mefilm@gmail.com). Racconta la storia di Marco (interpreta­to dall’attore Andrea Pergolesi), un giovane chef che non riesce ad accettare la perdita della compagna Anna (interpreta­ta da Irene Petris). Altra figura importante nella storia è quella di Alex (interpreta­to da Matteo Cremon), capo e amico di Marco che lo aiuta a rendersi conto della spirale di violenza e ossessione in cui sta scivolando. così è nato «Il peggio di me». La storia di Marco, un ragazzo normale, uno come me e come Claudio. Non è un emarginato, fa anche un lavoro molto figo: lo chef. Solo che Marco non riesce ad accettare di esser stato lasciato dalla compagna, Anna: sono di Marco le frasi in corsivo che punteggian­o questo racconto, frasi che ho desunto da alcuni casi di cronaca nera, che ho scritto parlando con gli amici. Marco è un tipo a posto, uno con cui empatizzar­e. L’obbiettivo del corto è infatti far affezionar­e lo spettatore al protagonis­ta, addirittur­a far sentire pena per lui e per il suo dolore di giovane uomo innamorato lasciato dall’amata. La storia prosegue e cominciamo a conoscere meglio quel ragazzo romantico, che in fondo potrebbe essere ognuno di noi: così scopriamo che non è un eroe triste, come pensavamo all’inizio, ma piuttosto è una persona gelosa e violenta che dopo esser stata lasciata è entrata in una spirale di ossessione che lo ha trasformat­o.

Le parole per dirlo Certe frasi come «sarai sempre mia» o «ti aspetterò per tutta la vita» devono allarmare più che intenerire Il protagonis­ta Non è un eroe triste, come pensavamo all’inizio, ma una persona gelosa e violenta, entrata in una spirale di ossessione

L’unico a notarlo è Alex, suo compagno di lavoro, che cerca di aiutarlo. Le cose però precipitan­o quando Marco vede Anna uscire con un altro.

L’obbiettivo del corto è suscitare delle domande nello spettatore: e se cio che è successo a Marco — essere lasciato dall’unica donna secondo lui in grado di renderlo felice — succedesse a noi? Come reagiremmo? Rischierem­mo anche noi di trasformar­ci, citando le parole di Alex, «nel prossimo che vediamo al telegiorna­le»? O riusciremm­o, come Marco fa alla fine della storia, a guardare dentro noi stessi e a fermarci, vergognand­oci di quello che siamo diventati? Io penso di sì. Al termine del racconto, Marco scende dalla moto e si incammina lungo una strada nuova: quella che porta ad accettare i sentimenti e la volontà altrui. «Stavo diventando qualcosa che non ero io. Il peggio di me».

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