Crac Cirio, confermati 4 anni a Geronzi
Per Cragnotti la Cassazione decide un nuovo processo. Per l’ex banchiere 3 anni coperti da indulto
Due lustri di processi, tre gradi di giudizio e una condanna definitiva a quattro anni. Destinatario della sentenza è Cesare Geronzi, nella veste di ex presidente di Banca di Roma. A fissare la pena per il reato di bancarotta distrattiva (tre anni sono però coperti dall’indulto) è la quinta sezione della Cassazione per la vicenda relativa al crac di Cirio. Nel 2003 il mancato rimborso di un bond da 150 milioni di euro innesca il fallimento del gruppo Cirio, generando un default che finisce per travolgere oltre 30 mila risparmiatori. Una pessima pagina di cronaca economica finanziaria con una lunga coda giudiziaria e le procure impegnate a ricostruire sia la natura dei rapporti tra banchieri e imprenditori, sia le operazioni tra istituti di credito e Cirio alla radice di un crac da oltre 1,1 miliardi di euro. Un lavoro che ha l’obiettivo di provare come attraverso l’emissione di obbligazioni, il rischio sia stato trasferito dalle banche, esposte con Cirio, ai risparmiatori. Con questi ultimi ignari dei rischi dei bond targati con il nome del noto marchio di pelati, offerti tramite ben nove emissioni sul mercato retail nel biennio 2000-2002. Tra gli attori della vicenda figura l’ex patron di Cirio, Sergio Cragnotti (la Cassazione ha disposto l’annullamento della condanna con rinvio alla Corte d’appello), accusato di bancarotta fraudolenta e truffa, oltre che alcuni componenti della sua famiglia. Sul versante bancario, insieme a quello di Geronzi, le indagini hanno riguardato il ruolo dell’ex amministratore delegato di Bpl, Gianpiero Fiorani, e dell’ex numero uno di San Paolo Imi, Rainer Masera. Questi ultimi due sono usciti di scena alle udienze preliminari. Il rinvio a giudizio per Geronzi e Cragnotti, invece, data 2007, quando le indagini hanno ormai fatto luce sulla girandola di finanziamenti per spostare le partite debitorie all’interno della galassia del gruppo Cirio, contribuendo così ad aumentare l’esposizione nei confronti del sistema bancario, al punto da rendere indispensabile l’emissione di bond. Un ricorso al mercato che manca però di trasparenza sui reali rischi assunti dai sottoscrittori di quei bond. Tanto più considerato che si trattava di risparmiatori e non di investitori istituzionali.
Le successive tappe giudiziarie sono, del resto, contrassegnate da una raffica di condanne. Nel 2011 il tribunale di Roma condanna a nove anni di reclusione Cragnotti, e a quattro anni Geronzi. Il giudizio di primo grado registra anche le condanne del genero dell’ex patron della Lazio, Filippo Fucile, e dei figli di Cragnotti: Andrea, Elisabetta e Massimo. Il tribunale in quell’occasione stabilisce il risarcimento da oltre 200 milioni di euro a beneficio di creditori e risparmiatori, il versamento compete a Unicredit (che nel frattempo ha rilevato l’ex Banca di Roma). Geronzi all’epoca si dice «tranquillo», oltre che certo di «avere agito correttamente, esercitando il compito proprio, naturale del banchiere, senza commettere alcun illecito». Il processo di appello nel 2015 si chiude con una lieve riduzione di pena per Cragnotti (8 anni e 8 mesi), e la conferma della condanna di primo grado per l’ex banchiere. Ieri l’epilogo. La Cassazione per Cragnotti ha disposto un nuovo processo, Geronzi si è visto confermare la condanna a 4 anni. Con lui sono condannati in via definitiva anche Filippo Fucile, Andrea Cragnotti, Ettore Quadrani, consigliere di Cirio, e gli ex funzionari di Banca di Roma Pietro Celestino Locati e Antonio Nottola.