La F1 disumana sempre più veloce Record inceneriti
In curva a 248 all’ora, aumenti di 40 km/h
Curve trasformate in rettilinei, record abbattuti come birilli, rispetto a dodici mesi fa il salto di prestazioni della F1 è enorme.
Dicevano che sarebbe stata «l’era dei mostri», non si sbagliavano: questo campionato sarà ricordato anche per la quantità di primati caduti. I numeri elaborati dalla Pirelli nelle 15 gare già disputate fotografano il livello dello scontro sull’asfalto e nei box, la sfida estrema per la ricerca della macchina perfetta.
Il circuito di Barcellona è uno dei più rappresentativi: durante il Gp, che si è svolto il 14 maggio, le monoposto affrontavano i tornanti 3 e 9 a 248 e 245 km/h, cioè a 36 a 30 all’ora in più rispetto al 2016. Incrementi della stessa entità si sono verificati alla mitica Copse di Silverstone; impressionante è anche la Pouhon di Spa (+36 km/h), un curvone veloce a sinistra fra i boschi delle Ardenne. L’asticella dei limiti meccanici e fisici è stata spostata molto in alto, le accelerazioni laterali a cui sono sottoposti i muscoli delle braccia e del collo dei piloti superano i 5g. Valori quasi aereonautici. Fra i tanti dati di adesso uno è destinato a resistere, visto che Sepang sparirà dal calendario. Nella curva più veloce, la 5, prima si viaggiava a 226 orari, domenica i sensori ne hanno registrati 267, ben 41 in più. «Sconvolgente» è l’aggettivo più usato nel paddock. E a Suzuka, dove domani si corre il Gp del Giappone, sono attesi nuovi picchi: la «130R», uno dei passaggi più duri, è affrontata a oltre 320 km/h.
Esaminando i giri più veloci in qualifica, emergono altre conferme: Hamilton ha conquistato la pole in Belgio limando di 4’’1 il tempo stabilito dall’ex compagno Nico Rosberg. Sul fronte rosso Vettel ha «tagliato» 3’’68 all’Hungaroring, circuito molto più corto di quello belga. Il cambio regolamentare è alla base dell’escalation delle prestazioni: sulle monoposto 2017 il carico aerodinamico è aumentato del 25%, i «gommoni» larghi hanno garantito una maggiore tenuta; al resto hanno contribuito i motori, «vitaminizzati» per sfondare il muro dei 1000 cavalli. L’effetto collaterale è nel calo delle velocità di punta sul dritto: in Messico, Bottas (ancora alla Williams) sfruttò l’altitudine e sfrecciò a 372,5 orari. Può stare tranquillo: fra tre settimane l’autovelox dell’autodromo segnerà numeri più bassi. Almeno quel primato è salvo.