I nuovi pendolari del «metrò» Milano-Roma
Ha «accorciato» la penisola. Cambiando le relazioni tra città e consentendo a migliaia di professionisti di coniugare lavoro e famiglia. L’alta velocità ha cambiato il Paese.
La chiamano la metropolitana d’Italia, la metafora rende l’idea delle frequenza delle corse ed è anche una buona trovata di marketing. È certo che l’alta velocità ha accorciato la penisola tagliando drasticamente i tempi di percorrenza, ha dato nuovi sbocchi al mercato del lavoro e ha motivato tutti i passeggeri a intensificare i viaggi medio-lunghi. La prima sorpresa infatti è questa: le tecnologie come videoconferenze, streaming e Skype che avrebbero dovuto avere l’effetto di ridurre drasticamente gli spostamenti, in realtà non li hanno diminuiti. E non perché non abbiano incontrato il favore di una discreta porzione di utenti ma l’ampliamento della cerchia dei rapporti, le relazioni Facebook e tutte le diavolerie della Rete spingono le persone a mettersi in movimento per vedersi più spesso.
Il lungo corridoio
La profezia del sociologo Manuel Castells si è avverata: i contatti nati su Internet hanno bisogno di un posto offline dove trovarsi. Per effetto di tutto ciò dentro le vite mobili degli italiani l’Alta Velocità (AV) si è conquistata un posto d’onore e la dorsale che da Milano porta prima a Roma poi più a Sud fino a Salerno è diventata il «lungo corridoio di casa Italia».
È vero che in quanto a dotazione siamo indietro rispetto ai Paesi guida della Ue ma la usiamo molto di più di francesi, tedeschi, spagnoli. C’è stata una fase in cui la liberalizzazione dell’AV e l’ingresso di un secondo operatore (Italo dopo Trenitalia) era sembrata una fuga in avanti e invece i dati di oggi ci dicono che le corse si intensificano, la frequenza in alcune fasce orarie è di mezz’ora e il cosiddetto load factor, il coefficiente di riempimento dei posti a sedere è attorno al 75% per entrambi gli operatori.
Italo ha quaranta collegamenti al giorno Milano-Roma, quindici no stop e vuole aumentare la frequenza, nel 2012 avevano solo venticinque treni. Trenitalia sulla stessa rotta schiera 97 Frecciarossa, di cui 50 no stop. «Il mercato continua a salire a doppia cifra e molto più velocemente del Pil — dice Ennio Cascetta, esperto del settore e docente di economia dei trasporti a Napoli e al Mit di Boston —. Se nel 2016 la crescita Istat è stata dell’1% la domanda di mobilità è cresciuta complessivamente del 3,3% e sull’AV addirittura del 12,7%».
Un servizio democratizzato
La verità è che quello che era nato prevalentemente come un servizio per la clientela d’affari si è nel tempo democratizzato. «Anche perché, come Italo, abbiamo scelto un posizionamento di prezzo più favorevole per generare nuova domanda» sottolinea Dora Bonadies, responsabile della pianificazione commerciale di Ntv. E, come conseguenza, la crescita del mercato ha condotto a una stabilizzazione della concorrenza.
Ce n’è per tutti. Soprattutto sulla tratta RomaMilano il treno ha stroncato l’aereo e ha contribuito pesantemente alla crisi dell’Alitalia che ai tempi d’oro faceva utili a palate sulla tratta-regina. Sempre secondo i dati elaborati e forniti dal professor Cascetta, se nel 2009 l’AV intercettava il 40% di coloro che si spostavano da Milano a Roma e viceversa in aereo, auto, treni e treni veloci oggi la quota AV è arrivata addirittura al 73%.
Chi come Andrea Boitani, l’economista autore del pamphlet I trasporti del nostro scontento, sottolinea il successo dell’operazione AV non si esime però dal ricordare come i costi medi di costruzione siano stati tre volte superiori a quelli francesi/spagnoli e che la scelta di portare i treni da 300 chilometri orari tra Torino e Milano e tra Milano e Salerno è stata pagata dalle altre dorsali, quella tirrenica e quella adriatica, e dal Sud i cui tempi di percorrenza sono rimasti al palo. «È stata una scelta cosciente fatta dalla politica italiana. Nel contempo non si è intervenuti sui nodi a ridosso delle grandi città e
È come se l’alta velocità si fosse caricata il compito di armonizzare domanda e offerta dei singoli mercati del lavoro locali
ciò è stato pagato in qualche modo dai pendolari a corto raggio».
Le relazioni tra città
Al di là dei bilanci ex post di una infrastruttura per una volta al passo con i tempi, è interessante chiedersi come siano cambiate le relazioni tra le città del lungo corridoio. Partiamo dal rapporto tra Milano e Bologna, che in virtù della posizione baricentrica della città delle Due Torri è il test più significativo.
«Il treno veloce ha fatto di Bologna un polmone di professionalità per il mercato milanese — sostiene Luca Dondi dell’Orologio, amministratore delegato di Nomisma —. La città produce professionalità in economia, giurisprudenza e scienze politiche che non riesce a utilizzare e grazie all’AV hanno trovato sbocco sul mercato senza dover cambiare residenza». Del resto per molte professionalità moderne l’importanza della sede fisica di lavoro non è decisiva, conta di più trascorrere la serata in famiglia. Dondi però ricorda come agli albori la speranza fosse «che il flusso si rivelasse bidirezionale, che un rinnovato terziario bolognese sapesse a sua volta attrarre competenze. Così non è stato e non è certo colpa del treno». Dipende da una progettualità che Bologna non è riuscita a sviluppare, «come dimostrano molte cubature vuote che cercano un’improbabile riconversione». In città c’è però la netta sensazione che oltre ad aver vivacizzato il mercato del lavoro emiliano l’AV abbia contribuito a rendere Bologna una meta turistica (nei primi sei mesi del 2017 i pernottamenti sono stati +11,7% e gli arrivi +7,7% con una percentuale di stranieri superiore all’80%). E i dati di fonte Trenitalia dicono che il 26% dei turisti viaggiatori durante il loro itinerario si ferma in almeno due città. «Non so se però il fattore chiave sia stato il treno, penso più all’aeroporto e allo sviluppo del low cost» chiosa Dondi.
Scambio di professionalità
L’AV non ha cambiato i flussi di «professionals»
soltanto tra Bologna e Milano ma su tutte le tratte. Come se il treno veloce si fosse caricato il compito di armonizzare domanda e offerta dei singoli mercati del lavoro locali spalmando le competenze lungo 500 chilometri che diventano oltre 700 comprendendo Napoli. Ci sono i fiorentini che vanno sotto le Due Torri a lavorare all’Unipol, alla Hera, al conservatorio o all’università ma ci sono i bolognesi che fanno il tragitto opposto per andare alla General Electric o nelle banche della città del giglio. Stessi movimenti per Firenze e Napoli su Roma. Tutti sono organizzatissimi con le chat WhatsApp e quando è scoppiata la vertenza sugli abbonamenti con le Fs la soluzione è stata trovata grazie a un’App e allo smartphone. In questo modo ognuno può rimanere a vivere nella sua città, frequentandone quotidianamente un’altra e dando vita in treno a interminabili discussioni sul primato delle pasticcerie di Bologna su quelle di Firenze o viceversa.
Una «LinkedIn su rotaia»
I pendolari giornalieri sulle tratte inferiori ai 90 minuti di percorrenza, secondo alcune stime sempre di Cascetta, superano il 20% dei passeggeri e in alcune fasce orarie si avvicinano addirittura al 40%. Questo tourbillon di manager, quadri e professionisti è «una specie di LinkedIn su rotaia» — come suggerisce Bonadies (Ntv) — che finisce per coinvolgere anche i parlamentari. Alessia Petraglia, senatrice del gruppo Sel, grazie all’AV è una pendolare giornaliera tra Firenze e Roma. «I lavori d’aula finiscono alle 20 e faccio in tempo a prendere l’ultimo treno». Sono almeno trecento i fiorentini che ogni giorno si recano nella Capitale e lavorano nelle grandi aziende pubbliche, nei ministeri e persino al Comune di Roma.
Italo non fa abbonamenti e quindi vanno tutti su Trenitalia. In prima classe il mensile che comprende anche i viaggi della domenica costa 621 euro e 424 in seconda però soltanto dal lunedì al venerdì. «L’AV ha consentito scelte professionali non più in contraddizione con gli affetti familiari, non è una questione di poco conto». L’argomento che ovviamente tiene banco nelle discussioni tra i pendolari sono i ritardi. Racconta Petraglia: «La media è tra i 10 e i 20 minuti, quelli più gravi prima però si concentravano in estate adesso non solo, e comunque sono prevalentemente di sera al momento del rientro».
La «diade» Milano-Roma
Ancor più intrigante di quanto abbiamo visto finora è la nuova relazione che si va stabilendo tra Roma e Milano. Si stima che siano almeno duemila le persone che viaggiano nei due sensi più volte nella settimana e aumenta anche la tendenza a fare avanti-indietro in giornata risparmiando sull’albergo (per la gioia delle aziende e dei piccoli imprenditori). Si sta creando un Club dell’Alta Velocità composto di manager e professionisti delle due città capace di far dialogare più proficuamente che in passato il sistema milanese e quello romano?
È presto per poter dare risposte secche ma qualcosa sta maturando e sta facendo cadere i vecchi steccati tra Capitale politica e Capitale economica e chi non si sorprende di questa novità sono geografi e sociologi abituati a ragionare di corridoi, mappe e flussi. Esperti come Alessandro Balducci (Politecnico di Milano) e Paolo Perulli scommettono sulla possibilità che Milano e Roma divengano una «diade», «una coppia di città che via via si integrano come avviene in altri parti del mondo con ben altre distanze con le quali fare i conti».
Un geografo come Paul Taylor parla addirittura di diadi come New York-Londra e PechinoShanghai, rispettivamente due grandi centri di servizi e ancora una volta capitale politica e capitale economica. «Milano e Roma sono complementari — argomentano Balducci e Perulli —. La prima eccelle nei servizi aperti al mercato globale, mentre Roma ha un rango di servizi più tradizionali e nazionali che però per essere legati alla funzione politica sono destinati a restare. I due sistemi si possono integrare e i duemila del Club Alta Velocità in fondo sono la fanteria di questa avanzata».
Per molte professionalità l’importanza della sede di lavoro non è decisiva, conta più trascorrere la serata in famiglia