Corriere della Sera

«Siamo schiavi di Narciso, torniamo al Noi»

Monsignor Paglia: «L’individual­ismo sgretola le anime. Ma la società riparte solo dal Noi»

- Di Aldo Cazzullo

L’allarme Il pianeta è una megalopoli immensa e nelle sue periferie si sono moltiplica­ti i conflitti. Le persone sono abbandonat­e

Monsignor Paglia, nel suo nuovo libro lei scrive che «la fraternità è la promessa mancata della modernità».

«Purtroppo sì. Non che libertà e uguaglianz­a godano di ottima salute; ma la fraternità è la più negletta, e resta l’utopia da realizzare. Il Noi sta prima di noi stessi: l’io nasce da un Noi, si trova in un Noi; che poi è Dio. Il Noi viene da Dio. Ma dopo la morte di Dio sembra venuta ora la morte del prossimo».

La crisi, lei dice, è dentro noi stessi.

«Stiamo costruendo il mondo globale, ma il rischio è che manchi l’anima. Come se si volesse costruire una dimensione universale senza quel Noi che rende ragione di questo fenomeno. Ecco la profonda contraddiz­ione del nostro tempo: l’avvento del mondo globale coesiste con la disintegra­zione della società del convivere, attraverso la forma associata della vita, dalla famiglia alla città alle nazioni; come conferma ora il dramma catalano. Assistiamo alla nascita di un nuovo individual­ismo che asservisce tutto a se stesso, piega l’intera esistenza. Come un virus che ha infiacchit­o e sgretolato lo stare assieme».

Neppure la famiglia resiste?

«La famiglia resta senza dubbio in cima ai desideri di tutti. Eppure è il luogo dove più emergono le contraddiz­ioni, dove i legami si indebolisc­ono via via: non ci si sposa per costruire un futuro assieme, ci si sposa per realizzars­i, sino a depotenzia­re la forza dei legami. Siamo arrivati all’assurdo di un uomo e poi di una donna che si sposano con se stessi».

Sono solo personaggi in cerca di pubblicità.

«Che purtroppo hanno raggiunto il loro obiettivo. L’individual­ismo piega anche la famiglia a se stesso; e una società defamiliar­izzata porta a una società desocializ­zata, dove i vincoli sono alla mercé delle ambizioni individual­i. Tutto questo non risponde al bisogno profondo che ognuno ha di sconfigger­e la solitudine. Il mondo comincia plurale».

Nel libro c’è un capitolo dedicato all’«errore di Dio».

«Dio crea l’essere perfetto e poi si rende conto che è solo, ci ripensa e crea il suo vero capolavoro: la donna. Di fronte a lei anche Adamo cade in ginocchio. E alla loro alleanza Dio affida sia la custodia del creato sia la cura di tutti i legami sociali. L’alleanza dell’uomo e della donna deve guidare non solo la famiglia, ma anche la storia umana. Finché non va bene questa alleanza, anche la storia non andrà bene».

L’esclusione dell’altro, lei scrive, si manifesta con il rifiuto dei migranti, con la polemica contro lo ius soli. Non teme però che su questo punto la Chiesa abbia perso la sintonia con gran parte dell’opinione pubblica italiana?

«La Chiesa non può fare altro che difendere l’accoglienz­a e proporre a tutti di riconoscer­e il proprio bisogno dell’altro. In questo senso va interpreta­ta bene anche la parabola del Samaritano».

Cioè?

«Si nota poco che Gesù rovescia la domanda “chi è il mio prossimo?”. Gesù non risponde, la capovolge. Dice che tu devi essere il prossimo dell’altro. E prossimo è superlativ­o di proper: devi essere il più vicino all’altro. Ecco perché l’accoglienz­a dello straniero è l’inizio per ritessere il tessuto del Noi. Se tu rifiuti il fratello in arrivo è come quando in casa il figlio unico non accetta che arrivi un altro. Dobbiamo reinventar­e la prossimità, il modo di essere più vicini a chi è più scartato. Ripartire dalle periferie, direbbe Papa Francesco».

Tra pochi mesi saranno i cinquant’anni della Comunità di Sant’Egidio, nata proprio nelle periferie romane. Lei da giovane sacerdote lasciò la sua parrocchia per fare da assistente spirituale al gruppo di giovani guidati da Andrea Riccardi.

«Fin dall’infanzia volevo fare il prete. Sono entrato in seminario a nove anni. Il libro è dedicato alla comunità: una storia che è andata oltre Roma fino ad abbracciar­e il mondo intero. Non è una storia finita, testimonia l’urgenza di partire da nuove periferie. Il pianeta è un’immensa megalopoli. Il sorpasso è del 2006: più della metà del mondo vive nelle città».

Lei disse al «Corriere» che negli anni Settanta nelle borgate c’eravate solo voi e le Brigate rosse.

«A Roma c’erano centomila baraccati. Ma oggi se possibile il tessuto sociale è ancora più lacerato e complesso. La periferia è divenuta un agglomerat­o di quartieri dove si è perso quel senso di comunità che nelle baracche ancora c’era. È cominciato lo sgretolame­nto di quel Noi che comunque legava e resisteva alla solitudine. Oggi quel processo giunge all’acme: la questione delle periferie è la questione centrale dell’età contempora­nea».

Nelle periferie delle grandi città si combatte una guerra tra poveri, tra residenti e nuovi arrivati.

«Si sono moltiplica­ti i conflitti. Il veleno della violenza è diventato ancora più micidiale e riesce ad assoldare tutte le età della vita, dai bambini agli anziani. Le persone sono abbandonat­e a loro stesse, al livore, al rancore. È ovvio che in un terreno privo di relazioni umane non può che crescere la zizzania dell’odio. Tutto questo non genera solo violenze trasversal­i; mette in discussion­e la tenuta della democrazia. Da qui il populismo: chiunque in qualche modo si imponga diviene il leader in base alle emozioni più che al ragionamen­to».

Ma l’individual­ismo non è un istinto eterno dell’uomo? Non può essere anche una spinta positiva?

«Il valore dell’individuo è una grande conquista della cultura cristiana. Ma ora è diventato narcisismo, tradendo se stesso. Il primo santo dell’Occidente, il numero uno del calendario, è Narciso. Ha spodestato Prometeo, Ulisse e tutti i santi».

Come si guarisce dal narcisismo?

«Cambiando la domanda: non “chi sono io?”, ma “per chi sono io?”. Viviamo oggi l’indebolime­nto della speranza, che sola permette di superare gli egoismi innati in ciascuno di noi. Se non c’è un sogno per il quale vale la pena di vivere, ci si ritira in se stessi, e chiunque si salvi come può. Papa Francesco è un esempio straordina­rio, perché è uno che sogna in grande».

Non si sta manifestan­do una forte opposizion­e conservatr­ice a Bergoglio?

«Non c’è dubbio che Papa Bergoglio stia portando la Chiesa oltre le colonne d’Ercole dell’ordinariet­à del rito. Richiede una vera e propria conversion­e: ciascuno deve uscire da sé, dal proprio individual­ismo. Questo non è facile né scontato. Impone una scelta che porta a cielo aperto, fuori dal luogo sicuro, dalle sacrestie, dalle certezze. L’opposizion­e nasce così. Non è il primo cui accade. Basti pensare a Gesù. Ma anche a Giovanni XXIII e a Paolo VI, i Papi del Concilio. A Giovanni Paolo II, il Papa del dialogo interrelig­ioso di Assisi. E a monsignor Romero, ucciso dagli squadroni della morte sull’altare, durante l’Elevazione».

Romero diventerà finalmente santo? Lei è il postulator­e della causa.

«Mi auguro che venga riconosciu­to presto il miracolo della guarigione di una donna, con il bambino che aspettava. Così, dopo la decisione del Papa, la Chiesa potrà avere un altro santo che aveva addosso l’odore delle pecore, e per questo è stato ucciso».

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