Trump «si schiera» con Colombo Ed elogia l’Italia: un alleato forte
Il presidente Usa proclama il «Columbus Day» dopo le polemiche sull’esploratore
NEW YORK «Nel Columbus Day onoriamo l’esperto navigatore e uomo di fede la cui coraggiosa impresa ha unito due continenti e ha ispirato molti altri... contro ogni dubbio o avversità». Donald Trump scende in campo nella disputa sulla figura di Cristoforo Colombo alimentata dalle proteste di gruppi radicali e dalla decisione del sindaco di New York, Bill de Blasio, di inserire anche il suo monumento tra quelli sottoposti all’esame di una commissione di esperti in quanto possibili «simboli di odio».
La proclamazione presidenziale di Trump è, per certi versi, un atto dovuto: il «Columbus Day», che si celebra domani in tutti gli Stati Uniti ma sopratutto a New York, è stato istituito dal Congresso come ricorrenza federale che viene ufficializzata, però, ogni anno, con un atto della Casa Bianca. Lo faceva anche Barack Obama. Ma, mentre il presidente democratico, nel riconoscere i meriti storici di Colombo che ha aperto nuove frontiere di civiltà, ha sempre ricordato anche le sofferenze delle popolazioni indigene, esposte a violenze e anche a malattie fin lì sconosciute, Trump ha puntato su una posizione netta, senza chiaroscuri.
E se gli italoamericani ora sono infuriati con de Blasio che rischia di essere fischiato quando, domani, sfilerà in mezzo ai popolarissimi pompieri sulla Fifth Avenue, Trump li corteggia e, addirittura, si avvolge nel tricolore elevando Colombo a «simbolo del contributo italoamericano alla costruzione della nostra Nazione». Poi elogia tutta l’Italia «alleato forte e partner di valore per la pace e la prosperità».
In tempi normali una simile sortita del presidente servirebbe a spazzare via le polemiche. Ma nell’attuale clima di divisioni e scontri politici è possibile un ulteriore inasprimento del confronto. Che, è bene ricordarlo, nasce dalla disputa sui monumenti dedicati agli eroi sudisti della Guerra di secessione che molti vorrebbero veder rimossi. A New York, dove di statue che celebrano i confederati ce ne sono ben poche, l’attenzione si è spostata su personaggi storici che possono essere accusati di colonialismo o razzismo.
Cavalcando Colombo, ora Trump offre il mantello protettivo del navigatore ai «fan» degli eroi secessionisti. Ma qui l’errore l’ha fatto de Blasio che, accettando di metterlo in discussione (Colombo non è stato certo un campione dei diritti umani ma li ha violati secoli prima che venissero riconosciuti come diritti inalienabili e universali), alimenta dispute senza fine. Quando Trump ha detto che chi oggi attacca il generale Lee domani se la prenderà con George Washington, è stato rimbeccato dai liberal: «Lee ha fatto una guerra civile, Washington ci ha liberato dal giogo coloniale». Poi, però, è arrivato lo scrittore (liberal) canadese Stephen Marche a sostenere che la rivoluzione contro il colonialismo britannico porta il marchio della supremazia dei bianchi, dello schiavismo e del massacro degli indigeni che fin dall’inizio videro in Washington il loro grande nemico.
Il confronto Obama l’anno scorso citò nel messaggio le sofferenze delle popolazioni indigene