Corriere della Sera

Niente vigili né uffici Un giorno a Mappano il Comune che non c’è

Torino, diviso fra 4 municipi. La lotta per l’autonomia «I paesi vicini dovrebbero aiutarci, ma ci boicottano»

- dal nostro inviato Marco Imarisio

L’ufficio del sindaco non si trova. Come il municipio, come il Comune. Non c’è un cartello, fuori e dentro. All’anagrafe, allo stato civile e al protocollo non c’è nessuno, né impiegati né utenti. Qualche anima persa nei corridoi del palazzo del Consorzio racconta delle sporadiche apparizion­i di un segretario «a scavalco» che presta servizio dieci ore alla settimana in straordina­rio per tappare un posto vacante, su ordine del Prefetto.

Il paese è tagliato in due dalla strada provincial­e 267 che porta a Cuorgnè e Leini, ma non ha un vigile. Non c’è neppure un commissari­ato o una caserma. Non c’è nessuno che possa notificare le poche ordinanze deliberate finora dalla giunta. Mappano è un Comune che non c’è. Eppure esiste, una lunga battaglia anche burocratic­a ha stabilito così. Alla fine spunta almeno il sindaco, che si chiama Francesco Grassi. «Nessun dipendente è il prezzo dell’indipenden­za. Ci siamo battuti a lungo per conquistar­e quello che riteniamo un nostro diritto. Ma ora è anche peggio di prima, colpa della poca disponibil­ità dei Comuni dai quali ci siamo separati».

Siamo a due passi da Torino e dentro una vicenda che nei giorni scorsi l’Anci, l’associazio­ne dei Comuni italiani, ha definito «senza precedenti», anche perché in completa controtend­enza con un momento storico dove anche per ragioni economiche in Italia si cercano le unioni tra paesi vicini e non le divisioni. A ognuno la sua Brexit o la sua Catalogna. Parlando con i protagonis­ti di questa storia piccola, sono i termini di paragone più evocati. Agli inizi dell’Ottocento il villaggio di Mappano contava 500 abitanti e 20 cascine, ma negli anni Cinquanta e Sessanta del nuovo secolo lo sviluppo della città metropolit­ana di Torino lo fece crescere fino a raggiunger­e le 8.000 unità, senza mai perdere lo statuto di frazione, con il territorio sparso tra Caselle, Borgaro Torinese, Settimo Torinese, Leini, con i quali formava un consorzio.

Grassi ha insegnato all’Istituto comprensiv­o di Mappano, che si trovava sotto l’egida di due diversi Comuni, moltiplica­ndo ogni atto, ogni comunicazi­one. «Disagi e malintesi di ogni genere, senza mai avere pari dignità». L’ex frazione sorge nel punto più denso della cintura industrial­e torinese e si trova a pochi chilometri dalla discarica di Basse di Stura, la più grande del Piemonte. «Non potevamo disporre della nostra salute, perché gli altri erano i grandi, e noi il vaso di coccio». Il primo referendum consultivo, frutto dell’iniziativa di legge popolare studiata da Grassi, fondatore del movimento autonomist­a, viene convocato il 15 novembre del 2009. Leini, Borgaro e Settimo fanno ricorso al Tar, che annulla. Quasi tremila cittadini protestano con una fiaccolata. Dopo tre anni, tonnellate di carta e una sentenza della Corte costituzio­nale, l’11 novembre 2012 si tiene il referendum. Ci vorranno altri quattro anni, due nuovi passaggi al Tar, un Commissari­o prefettizi­o, ma nel giugno di quest’anno Mappano celebra le sue prime elezioni.

La fine è sempre l’inizio di un’altra storia. Quella che comincia nell’ex frazione è fatta di stenti e umiliazion­i. La Consulta infatti ha stabilito che la nascita del nuovo Comune doveva avvenire a costo zero, attraverso cessioni di personale e risorse da parte degli altri paesi. «Fanno orecchie da mercante» sospira Grassi. «Dicono di essere sotto organico. È il loro modo di proseguire con altri mezzi la guerra che ci hanno fatto finora». Claudio Gambino, primo cittadino di Borgaro, ride. «Hanno voluto le elezioni per nascere e adesso si ritrovano con una morte bianca. Paralisi totale. Non posso certo dire che mi dispiace. Quando marito e moglie si separano, la qualità della vita diventa più bassa. Adesso tutti tifano per la Catalogna, ma qualcuno pensa al costo economico della secessione?».

Quello della guerra di indipenden­za a bassa intensità e alto tasso di carte bollate nella cintura torinese è stato calcolato dall’università del capoluogo. Senza Imu su fabbriche e capannoni, seconde case e box più tasse varie, Borgaro torinese ci perde 600.000 euro, cifra che giustifica la scarsa simpatia del suo sindaco verso la causa indipenden­tista. Leini rinuncia a 200.000 euro di entrate, mentre Caselle e Settimo se la cavano con poco. Al conto totale vanno aggiunti i trecentomi­la euro giudicati necessari alla nascita di un vero Comune, non il simulacro di oggi, sul quale pende ancora un ultimo ricorso al Tar.

Il nuovo arrivato è nel limbo, i paesi confinanti masticano amaro e vendetta. «Ne valeva la pena?» chiede Gambino. «Assolutame­nte sì» è la replica. Il torto e la ragione non risiedono da una sola parte, come spesso accade nelle separazion­i. Il sindaco di Borgaro fa il bancario di profession­e, si tiene ai numeri e rimpiange l’addio alle 400 aziende con sede nella ex frazione. Grassi ne fa una questione storica ed amministra­tiva, in via ufficiale. Il decennio trascorso a studiare ricorsi, cavilli e codicilli gli è stato utile per vincere il concorso da preside in un istituto di Torino. Almeno a qualcosa è servita, la disfida di Mappano.

Il sindaco «rivale» «Hanno voluto separarsi? Dopo un divorzio la qualità della vita diventa più bassa»

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