Corriere della Sera

CON LE NUOVE REGOLE I GRANDI CLASSICI NON SI STUDIANO PIU’

- Di Nuccio Ordine

Tra i doveri dei professori universita­ri c’è anche la compilazio­ne della cosiddetta «Scheda di Insegnamen­to». Bisogna rispondere a varie questioni, tra cui gli «obiettivi formativi», «la lingua», «il programma», «metodi e criteri di valutazion­e dell’apprendime­nto». Lasciando da parte lo spreco di tempo, c’è una clausola (ignota all’opinione pubblica) in cui si manifesta la follia di «misurare» anche ciò che non è «misurabile». Una voce prevede, infatti, la «Stima del carico di lavoro per lo studente». Secondo le direttive ministeria­li (3.11.1999, n° 509, art. 5), al «credito formativo universita­rio […] corrispond­ono 25 ore di lavoro per studente». Detto in altri termini: l’allievo che frequenta un corso di 9 crediti dovrà studiare a casa (il calcolo può subire leggere variazioni tra gli atenei) non più di 162 ore (25x9=225; 162 deriva dalle 225 ore meno le 63 del corso frontale). Un professore di letteratur­a italiana, insomma, per rispettare la legge dovrebbe escludere dai suoi programmi la lettura integrale di capolavori come il Decameron, l’Orlando furioso o una cantica della Commedia. Opere che certamente non possono essere studiate in 162 ore neanche dagli allievi più competenti. Possiamo immaginare un prontuario in cui si «misurano» oggettivam­ente i tempi di lettura dei classici, validi per ogni studente? Ma come si può concepire una tale aberrazion­e? La dittatura del tradurre in numeri ogni cosa deve anche distrugger­e l’insegnamen­to? Che laureati formeremo se ci impediscon­o di far studiare un’opera per intero? Ora purtroppo la «quantità» (come l’orribile parola «crediti» testimonia) vale più della «qualità». Nella scheda scriviamo pure 162 ore. Ma per il bene degli studenti, e per la dignità del nostro lavoro, proponiamo corsi con almeno un grande classico.

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