INTELLIGENTI MA E FELICI DI ESSERLO
IGNORANTI
Un lettore, a proposito del Giorno della Memoria approvato dal Consiglio della Regione Puglia per le vittime del Sud nell’unificazione d’Italia a mano armata, scrive che il presidente Emiliano dovrebbe ascoltare altri pareri «oltre a quello di Pino Aprile» (suggerisco l’istituzione di un Giorno della Memoria per i vinti della nostra storia, nel mio libro più recente, Carnefici). Il lettore sbaglia (Emiliano non mi ha chiesto pareri). E poi propone di ricordare anche le «vittime meridionali» favorevoli all’annessione di quella guerra fatta senza nemmeno dichiararla. Ma ai vincitori di quella guerra già sono dedicate statue, vie, scuole. Ai vinti nulla, a parte il discredito nei libri di storia. Lo stesso vale per «i patrioti» del 1799, i giacobini napoletani che presero a cannonate alle spalle i connazionali che difendevano la città e consegnarono la capitale e il Regno a un esercito straniero che sterminò 60 mila persone, e dopo il saccheggio portò il bottino in Francia. Mentre, in 5 mesi, i «patrioti» giustiziavano 1.500 connazionali. Negli altri Paesi invasi dai napoleonidi, chi appoggiò l’occupante è chiamato «traditore»; e «patriota» chi difese la Patria. Da noi le parole capovolgono i fatti. Le idee di quei giacobini erano un anticipo dell’Europa che sarebbe venuta, e sulle idee si discute, ma assolvere qualunque cosa in nome delle idee porta a conclusioni aberranti. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579
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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere
Caro Aldo,
seguo in tv «Il Collegio» e mi stupisce che i ragazzi non sappiano rispondere a domande di quinta elementare. Non so se il programma è una fiction mascherata, altrimenti c’è da mettersi le mani nei capelli. Come riempiono le ore taluni ragazzi e insegnanti? Tra l’altro, mi sembrano anche ragazzi molto intelligenti.
Caro Marco,
Lei ha ragione su entrambi i fronti. I ragazzi di oggi sono più svegli di noi alla loro età. Ma molti sono più ignoranti. Anche noi lo eravamo, per carità. Ma ne provavamo vergogna. Ora l’ignoranza viene rivendicata. Ne vanno orgogliosi. Basta fare un giro in Rete, se possibile quando si è di buon umore — una vincita alla lotteria, un gol della nostra squadra, un sorriso della persona amata — per resistere alla ventata di invidia, rancore, livore che tracima dai social. È facile verificare che avere una storia, un curriculum, una competenza è considerato un limite, quasi un crimine. Chi ha studiato, si è preparato, ha esperimentato, insomma sa quel che dice e scrive, diventa di per sé un membro della casta, dell’establishment, del sistema che avvelena scientemente l’acqua e il cibo, fa ammalare i piccoli con i vaccini, tiene segreta la formula per guarire le malattie. Più la si spara grossa, più si è ascoltati. Le fake news sono più cliccate delle notizie vere.
C’è un film di Checco Zalone, «Che bella giornata», in cui il protagonista dice alla ragazza maghrebina che vuole sedurre: «In questo Paese studiare non serve a niente» (Zalone non dice proprio «niente», ma l’idea è quella). Purtroppo è una convinzione molto diffusa. Se l’ascensore sociale non funziona, se i figli ereditano lo status dei padri, perdere fiducia è inevitabile. La rete alimenta lo scoramento e lo consola, ripetendo di continuo ai ragazzi quel che vogliono sentirsi dire, rassicurandoli e crogiolandoli nella loro ignoranza. La Rete conosce solo il tempo presente, il passato non esiste, la Seconda guerra mondiale è come la seconda guerra punica: una cosa accaduta molto tempo fa, che non ci interessa e non ci riguarda. E Wikipedia li illude che il sapere sia a portata di mano. In effetti l’enciclopedia online dà molte informazioni, spesso vere. Ma prima bisogna sapere cosa cercare e dove trovarlo.