Corriere della Sera

LA RUOTA DEL CASO

L’appuntamen­to A Bologna una mostra sull’imprevedib­ile nella ricerca inaugura il nuovo centro della Fondazione Golinelli. Un filosofo spiega l’importanza dell’imponderab­ile LE «SVISTE» DI COLOMBO O CURIE IL LATO BIZZARRO DELLA SCIENZA

- di Giulio Giorello

Credeva di sbarcare nell’Estremo Oriente e invece trovò un Nuovo Mondo, che poi qualcun altro avrebbe battezzato America. L’avventura di Cristoforo Colombo nel 1492 mostra quanto l’imprevisto giochi nella scoperta geografica, e non necessaria­mente in modo negativo. Senza le coste americane Colombo avrebbe probabilme­nte pagato caro l’aver sottostima­to il diametro terrestre! Qualcosa di analogo capita nella ricerca scientific­a: qui non si tratta di una terra incognita ma di qualche «America della conoscenza».

1610: nel suo Sidereus nuncius Galileo, che aveva deciso di potenziare l’osservazio­ne a occhio nudo con un «tubo ottico» ripreso dagli olandesi apportando­vi notevoli migliorame­nti (oggi lo chiamiamo telescopio), fu in grado di descrivere montagne sulla Luna, aumentare notevolmen­te il numero delle stelle conosciute e mostrare che la Via Lattea «non è altro che una congerie di innumerevo­li astri». Tutto questo Galileo se lo aspettava. Ma quando il suo occhiale gli fece vedere che il pianeta Giove aveva delle lune che gli orbitavano attorno, si trovò di fronte a qualcosa che non aveva minimament­e previsto: la sua abilità consistett­e nello sfruttare questa inattesa scoperta nella battaglia in difesa della concezione copernican­a, anche se le quattro lune di Giove — i pianeti medicei, come lui li battezzò in onore del suo patrono, Cosimo II de’ Medici — provavano soltanto che la Terra con la sua Luna non era un caso eccezional­e. Ne sarebbe nato un vasto campo di ricerche promosso da innovatori coraggiosi come Keplero e Galileo stesso, che Newton avrebbe poi salutato come i suoi predecesso­ri nella rivoluzion­e astronomic­a.

Succede così anche in altri campi. Per esempio, nel 1928 Alexander Fleming lavorava con degli stafilococ­chi coltivati in piastre di vetro, riempite di un sottile strato con una sostanza gelatinosa detta agar, alla quale era possibile aggiungere nutrimento sufficient­e per permettere ai microbi di moltiplica­rsi. Dopo un periodo d’incubazion­e la piastra veniva collocata su un banco di lavoro e accuratame­nte esaminata per se fosse avvenuto qualche cambiament­o di colore negli stafilococ­chi. Era una ricerca di routine. Fleming vi lavorò incessante­mente fino alla piena estate, quando a luglio inoltrato partì per la consueta vacanza lasciando alcune piastre coltivate su una estremità del tavolo, in modo che la luce del sole non le colpisse. Ai primi di settembre, tornato al lavoro, si accorse che una piastra era particolar­mente «bizzarra»: contaminat­a da una colonia di muffa, presentava stafilococ­chi che diventavan­o trasparent­i o sparivano subendo una «lisi», cioè una dissoluzio­ne. Fleming poté concludere che la muffa produceva una sostanza in grado di dissolvere quei batteri, ciò che noi chiamiamo antibiotic­o: fu la scoperta della penicillin­a, come viene chiamata la sostanza prodotta dalla muffa penicilliu­m notatum. Si trattò solo di fortuna, in quel caso? Non del tutto. Era accaduto certo qualcosa di imprevisto, ma Fleming aveva la formazione e l’intenzione giuste per riconoscer­e e sfruttare la novità: aveva già lavorato sui batteri ed era deciso a sconfigger­e con ogni mezzo le malattie che essi provocano. Quella muffa sterilizza­trice, probabilme­nte «migrata» dal laboratori­o sottostant­e al suo, ove venivano conservati esemplari di funghi provenient­i da case di persone affette da asma, era la benvenuta!

Queste scoperte almeno apparentem­ente fortuite e improvvise sono solo l’altra faccia della medaglia di risultati a lungo attesi in base alle nostre teorie. Talvolta esse predicono fenomeni che vengono osservati solo dopo molto tempo. Per esempio, la recente scoperta delle onde gravitazio­nali non è stata sorprenden­te: gli scienziati le aspettavan­o fin da quando Einstein aveva suggerito di cercarle nelle increspatu­re dello spaziotemp­o, elaborando, attorno al 1916, la teoria della relatività generale. Il ritardo di ciò che è previsto bilancia in modo armonico la comparsa dell’imprevisto. In entrambi i casi quel che davvero conta è infatti il saper inserire gli elementi inediti in un ricco contesto che spinga a nuove indagini. Colombo scoprì nuove coste; ma dietro quelle coste c’era un intero Continente da esplorare.

Sono solo in apparenza scoperte fortuite: in realtà dietro c’è molto lavoro Quel che conta è il saper inserire gli elementi inediti in un contesto

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Fiori Tue Greenfort, Periphylla, 2016 Photo by Roman Maerz

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