Tra laboratorio e arte «Per me è una forma di eredità da lasciare»
Il mecenate 97enne: si vive per restituire Tra i protagonisti, Ai Weiwei e Eliasson
«O gnuno di noi ha una responsabilità ed è lasciare in eredità qualcosa agli altri. Ecco perché si vive». Marino Golinelli lo ha già fatto con la fondazione che porta il suo nome, ma per lui non basta e continua ogni volta a regalare qualcosa agli adulti di domani. La mostra «Imprevedibile — Essere pronti per il futuro senza sapere come sarà», da venerdì allestita nel nuovo Centro Arti e Scienze Golinelli, è proprio il dono che più rispecchia il credo di questo filantropo, exchimico ed ex imprenditore bolognese di 97 anni.
Curata da Giovanni Carrada per la parte scientifica e da Cristiana Perrella per quella artistica, sarà visitabile fino al 4 febbraio. Ci sono opere di Ai Weiwei, Martino Gamper, Olafur Eliasson, Martin Creed, Flavio Favelli eppure il filo rosso che le legava era già nella testa di Golinelli a metà del secolo scorso.
«L’esposizione esprime una visione nata nei corridoi di chimica industriale di porta Saragozza nel 1942, quando ero un giovane studente di 22 anni — riavvolge il nastro il fondatore —. Mi ricorderò sempre l’esperienza fatta nel manipolare i colori in laboratorio. Combinandoli e studiandoli, noi tentiamo di comprendere il mondo che ci circonda. Poi approfondendo matematica e architettura ho capito come i colori fossero legati alla dimensione della struttura anche nella figure. Dopo è stato semplice intuire il legame tra arte e scienza e il loro supporto a una visione creativa, soprattutto nella tecontrollare sta di un ragazzo». Per questo la mostra indaga il futuro o, meglio, il mondo che verrà, dunque in perenne mutamento, dunque imprevedibile come il titolo. «In realtà — puntualizza Carrada, tra l’altro autore di Superquark — l’imprevedibilità non è qualcosa di negativo come sostengono tutti, ma semplicemente un dato di fatto: bisogna solo capire come affrontarla. Quindi preparare le nuove generazioni a vivere in un mondo che cambia, rovesciando la prospettiva: se il mondo fosse intuibile avremmo una società chiusa, senza garanzie di possibilità per tutti».
E le sei sezioni in cui si articola l’allestimento confermano solo un assunto: bisogna guardare al passato per comprendere come potrebbe funzionare il domani. Dalle grandi innovazioni connesse a una tecnologia dirompente ai problemi ambientali, dai pregiudizi alla distruzione creativa di schumpeteriana memoria, «Imprevedibile» viaggia nel passato-presente di grandi nazioni e del nostro Paese con incursioni tra economia, ecologia e psicologia.
«Chi non innova rischia di perdere il proprio futuro e l’opera di Ai Weiwei lo esemplifica molto bene — osserva Perrella —. La Cina, un Paese paralizzato da anni, si è liberato della sua tradizione abbracciando un nuovo corso: nella corsa alla modernità il nuovo must have è diventato l’auto, ma le conseguenza sono state catastrofiche in termini ambientali e ora si tenta di tornare alla tradizione innovando con le biciclette elettriche».
La giovane Elena Mazzi nel suo «Fragmented World», dove una figura corre smarrita alle pendici dell’Etna, ci pone invece di fronte alla difficoltà di previsione di eventi apocalittici. Martino Gamper ci fa notare come la nostra passione per il vintage abbia sostituito quella per la fantascienza: in «Expected to Be or Happen at a Time Still to Come» il tipico font usato nelle pellicole futuribili degli anni ’70 appare su un antico tappeto lavorato in Nepal. Olafus Eliasson porta a Bologna un progetto di imprenditoria etica, «Little sun»: una lampada a energia solare che può essere venduta a prezzi accessibilissimi in luoghi dove l’elettricità non arriva. Il futuro è qui, basta prepararsi ad accoglierlo.