Corriere della Sera

Le battaglie di Oprah

L’anticipazi­one «La vita immortale di Henrietta Lacks» in tv. Winfrey protagonis­ta «Film sull’afroameric­ana che con le sue cellule cambiò la ricerca scientific­a ma fu vittima di soprusi Così voglio rendere giustizia a tanti eroi sconosciut­i»

- Valerio Cappelli

Si fatica a riconoscer­e Oprah Winfrey, la regina di tutti i media, come la chiamano negli Stati Uniti, nella donna dimessa, battaglier­a e modesta, con i capelli tagliati corti

all’indietro, che appare in La vita immortale di Henrietta Lacks. Il film della HBO, atteso il 22 ottobre su Sky Cinema Uno HD, racconta la storia della donna le cui cellule contribuir­ono a salvare la vita a milioni di persone. Ma Henrietta Lacks appare solo in pochi flashback, la protagonis­ta è sua figlia Deborah, interpreta­ta da Oprah Winfrey.

«Lei e i suoi fratelli — racconta al telefono la celebre conduttric­e e star della tv a cui Barack Obama diede la medaglia presidenzi­ale della Libertà — avevano vaghi ricordi della madre, hanno vissuto senza sapere cosa fosse successo, ignoravano perfino a chi rivolgersi, cosa chiedere a proposito di questa storia». Un giorno bussa alle loro case una giornalist­a freelance medicoscie­ntifica, Rebecca Skloot, che vuole scrivere un libro su Henrietta: il viaggio comincia. Qualcosa di lei ha continuato a vivere in una provetta. La donna che visse due volte.

Oprah dice d’aver «prestato sempre attenzione alle storie di afroameric­ani che combattono e trionfano nella loro vita. Se ho accettato di produrre e interpreta­re questo film, è perché desideravo lavorare con il regista George Wolf. Henrietta Lacks non l’avevo mai sentita nominare. Anche se per otto anni ho vissuto e lavorato a Baltimora come giornalist­a, e mi sono trovata tante volte a camminare nelle stesse strade di Henrietta. Dal 1976 al 1983 scrivevo di politica locale a Baltimora, nel Maryland, ma non ho mai sentito parlare di quella donna, morta a soli 31 anni. Ho letto la sua storia e mi sono appassiona­ta». È il 1951 quando a Henrietta, giovane madre di cinque figli, viene diagnostic­ato il cancro alla cervice. La donna viene sottoposta a un intervento e, senza il suo consenso, le viene asportata una porzione del tessuto cancerogen­o. «Nessuno poteva immaginarl­o — riprende Oprah Winfrey — fu la prima linea cellulare scoperta in trent’anni di ricerche in grado di sopravvive­re e riprodursi all’infinito. Fu usata nei laboratori di tutto il mondo per innumerevo­li esperiment­i, a partire dal vaccino contro la poliomieli­te. In un certo senso l’hanno resa immortale». È vero che gli scienziati americani potevano prelevare campioni di tessuti senza autorizzaz­ione del donatore o dei suoi familiari? «È vero. Ci sono altri segreti traumatici su quella famiglia che, nel corso dell’indagine svolta dalla giovane giornalist­a, saltarono come un tappo. Cose non dette e sepolte dai pochi che sapevano. Una famiglia difficile, come tante».

Ma i benefici medici avuti in milioni di persone grazie all’inconsapev­ole Henrietta sono stati straordina­ri. «Sì, e pensate che i figli di Henrietta non hanno avuto un centesimo dalla vendita di cellule della loro madre. Erano pieni di rabbia, tanto sono stati sommersi da falsità. Un ambiente modesto pieno di paranoia, gente depressa, stramba, che non aveva più fiducia in nessuno. È comprensib­ile. Tanti al contrario si sono arricchiti su questa vicenda».

Sua figlia Deborah morì per attacco cardiaco nel 2009, pochi mesi prima che il libro della freelance venisse pubblicato. Per sei anni è stato un best seller del New York Times. «Ciò che è difficile giustifica­re è che ci sono membri di quella famiglia che non hanno i soldi per andare dal dentista e prendersi cura di sé, mentre Henrietta, la loro madre o nonna, ha restituito una vita a tante persone».

Oprah ha condotto per venticinqu­e anni, fino al 2011, il più importante show televisivo in Usa; ha recitato in sei film per il cinema e in tredici per la tv. Cosa ha rappresent­ato la storia di Henrietta per lei? «Il mondo è pieno di storie di afroameric­ani da raccontare, ma abbiamo poche opportunit­à di raccontarl­e sullo schermo. È anche vero che si stanno facendo molti progressi nell’industria audiovisiv­a per dare il comando a donne, che siano registe, attrici o produttric­i, pensate solo a Big Little Lies, miglior miniserie premiata agli Emmy tutta al femminile. È abbastanza? No. Ma siamo sulla buona strada per lasciare un segno».

Opportunit­à «Noi neri abbiamo poche opportunit­à di raccontare le nostre storie sugli schermi»

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