Corriere della Sera

Porcellini: «Non sono un dopatore. Filippo una persona corretta, è completame­nte estraneo ai fatti»

- Marco Bonarrigo Alessandro Pasini

Filippo Magnini è tranquillo e aspetta di raccontare presto la sua versione alla procura antidoping: è convinto di potere dimostrare la sua innocenza e chiudere una storia che rischia di infangare anni di gloriosa carriera e di impegno internazio­nale come testimonia­l del progetto «I am doping free». Nel frattempo incassa la solidariet­à via Twitter del sindaco di Pesaro, Matteo Ricci («Forza Filo Magnini, persona onesta, seria e trasparent­e. Pesaro è con te»), e continua la sua nuova vita post Mondiale, quello in cui aveva annunciato propositi di ritiro: «Sono stanco, e non solo fisicament­e, per tutti i problemi personali che in quest’anno si sono fatti sentire», aveva detto in quella nefasta trasferta ungherese di agosto. Si riferiva ai flop in vasca, alla fine della storia con Federica Pellegrini e anche al suo coinvolgim­ento nell’affaire Porcellini: «Certe accuse di doping, proprio a me che l’ho sempre combattuto... Pazzesco. Erano accuse false, certo, ma in piscina mi hanno distratto».

Il ritiro, di fatto, non è ancora avvenuto. L’ex Re Magno racconta di volersi limitare a gare nazionali in vasca corta e ha ripreso ad allenarsi da solo nella piscina dell’Aniene a Roma, dove si è trasferito la scorsa primavera quando si è conclusa — suo malgrado — la collaboraz­ione al Centro federale di Verona con Matteo Giunta, suo cugino e allenatore anche di Federica Pellegrini. Proprio il tecnico a Budapest aveva indicato la separazion­e tecnica fra i due ex fidanzati ad aprile come una delle chiavi psicologic­he del trionfo di Fede nei 200 stile mondiali, e anche questo a Filippo non è andato giù, tanto che oggi i rapporti con Giunta sono ormai inesistent­i.

Porcellini, intanto, come già aveva fatto a giugno quando era stato aperto il procedimen­to penale, continua a scagionare Magnini e lo ha ribadito ancora ieri attraverso il suo avvocato Francesco Manetti: «Devo ribadire la totale e completa estraneità di Filippo Magnini e di altri atleti dall’inchiesta pesarese». Nell’inchiesta pesarese, sostiene il legale del medico, «non è mai stata reperita né una prescrizio­ne illecita né una sostanza ricollegab­ile a una pratica dopante di atleti profession­isti, e siamo fiduciosi che il processo accerterà la realtà dei fatti e restituirà onorabilit­à ai miei assistiti». Il legale parla di Antonio De Grandis, collaborat­ore di Porcellini anch’egli indagato, e lo definisce «un amico personale del dottore, non ricopre alcuna carica in nessuna società o associazio­ne sportiva, esercita l’attività di fonico : immaginarl­o dopatore di atleti è una cosa che non ha attinenza con la realtà». Infine, su Magnini osserva che «la sua unica funzione processual­e sarà, eventualme­nte, quella di teste a discarico della difesa, vista la sua correttezz­a e specchiata reputazion­e».

Resta tuttavia chiara la differenza fra il versante penale e quello sportivo e non è detto che essere scagionati nel primo comporti lo stesso destino nel secondo, dove i criteri sono assai differenti e più sfavorevol­i all’indagato. La battaglia si giocherà quasi certamente tutta sulla pralmoreli­na, lo stimolante dell’ormone della crescita che Porcellini ordinava via Internet in Cina: se Magnini dimostrerà di non essere stato uno dei destinatar­i delle fiale sequestrat­e all’aeroporto di Malpensa, potrebbe cavarsela.

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