Che cosa si può fare per la dislessia oggi
Sono passati 17 anni dall’approvazione della legge 170 che ha cambiato la vita scolastica dei ragazzi con disturbi dell’apprendimento. Al termine della settimana dedicata alla sensibilizzazione su questo tema, abbiamo fatto il punto sulla situazione. E no
rovate a immaginare che le lettere dell’alfabeto vi “compaiano” a metà: solo la metà di sinistra o solo quella di destra o che vi sembrino dimezzate in orizzontale.Il resto, quello che vi “sfugge”, dovete indovinarlo. Oppure che le parole sembrino “ballare” davanti ai vostri occhi o che l’ordine delle sillabe vi appaia invertito. Ecco così legge un dislessico.
Come si fa a venirne a capo? Ognuna trova delle strategie personali, e ci sono tecniche di potenziamento della lettura che aiutano, ma la difficoltà resta. Per tutta la vita. A scuola, per legge, dal 2010 (ma per ora non nel mondo del lavoro) sono previste misure compensative (meno esercizi da risolvere durante un compito in classe, più tempo per svolgerli, uso di mappe concettuali…), ma l’ostacolo da superare spesso resta la scarsa conoscenza di questo problema da parte degli insegnanti (anche se dal 2010 molto è cambiato:)
E il problema della dislessia, cui spesso si accompagnano anche disgrafia e disortografia o discalculia (accomunate tutte sotto la sigla Dsa, cioè disturbi specifici dell’apprendimento),non è una stranezza che riguarda poche persone.
In Italia si calcola che i dislessici “certificati” ( che sono stati cioè diagnosticati come Ci sono indizi che possono far sospettare una dislessia prima che i figli vadano a scuola: presenza di familiari con questo problema, ritardo del linguaggio, scarso interesse per i primi libri, riluttanza a giocare con le letterine tali e a scuola possono usufruire delle facilitazioni previste siano tra i 150 e 190 mila. A questi vanno aggiunti gli adulti, che molto spesso non sanno neppure di soffrire di questo disturbo.
Come sempre accade, più la diagnosi è tempestiva più l’azione di recupero è efficace. Solitamente la dislessia viene diagnosticata in seconda o terza elementare, quando diventa più facile distinguerla dalle normali difficoltà di lettura; ma ci sono segni premonitori che possono farle sospettare anche prima. Come spiega Cesare Cornoldi, tra i primi ad occuparsi di dislessia in Italia, ordinario di Psicologia dell’apprendimento e della memoria all’Università di Padova: «I genitori possono tener conto di una serie di indizi: la presenza di familiari con questo problema, ritardo del linguaggio, scarso interesse per i primi libri scritti, riluttanza a giocare con le letterine». Una volta che il sospetto di dislessia è confermato la prima preoccupazione di un genitore è, ovviamente, “e adesso che cosa si può fare?”. “A chi bisogna rivolgersi: a un logopedista?”.
«Il processo riabilitativo può essere affidato sia a un logopedista sia a uno psicologo, e uno degli obiettivi più diffusi riguarda l’accelerazione del riconoscimento di unità sublessicali rilevanti»,
«In pratica — chiarisce Elisabetta Genovese professore associato di audiologia e foniatria all’Università di Modena e Reggio Emilia — si aiutano i bambini ad appropriarsi delle abilità linguistiche indebolite, già individuate e misurate in sede di valutazione. Se il bambino ha difficoltà di pronuncia delle parole nel corso della lettura farà esercizio per imparare a riconoscere il suono delle singole lettere, o delle sillabe e a discriminare i suoni simili (“d”e “t”; “p”” e “b). Se il problema di lettura riguarda invece o soprattutto la comprensione, il lavoro presuppone un aumento del lessico mentale per esempio con giochi sull’utilizzo delle parole in contesti differenti. L’intervento logopedico è prioritario fino al termine della II-III classe elementare. In seguito, dato che la componente plastica ovvero di rimodellamento encefalico - dell’apprendimento linguistico diminuisce progressivamente, può essere più utile l’aiuto di uno psicologo dello sviluppo, uno specialista che lavora in modo mirato per favorire il corretto evolvere dei processi di apprendimento di letto-scrittura e di calcolo.
«La dislessia però — prosegue Elisabetta Genovese — è un disturbo del neurosvilup- po: risponde a un trattamento specifico, che riesce a contenerne gli effetti ma che non può portare a una completa scomparsa del problema. Ciò che cerchiamo di spiegare ai genitori è che l’obiettivo consiste nel massimo miglioramento possibile delle difficoltà di lettura con le quali però, sia pure in forma attenuata, si dovrà però sempre convivere.
«La durata del trattamento logopedico — aggiunge Genovese — dipende dalla gravità del disturbo. Se è legato a un pregresso ritardo o disturbo linguistico ci aspettiamo di intervenire per un periodo più lungo rispetto a quanto si fa per la dislessia “pulita”. Altro fattore importante, il quoziente intellettivo: maggiore il quoziente, migliore e più pronta la risposta al trattamento. In generale possiamo comunque fare il training di potenziamento, che si svolge per cicli più o meno distanziati lungo l’arco di tutta la scuola primaria. Successivamente si propongono attività basate sul metodo di studio per ridurre la fatica e l’impegno didattici. La lettura a voce alta, che a molti può sembrare semplicisticamente la “terapia” più adatta, (... esercitati ragazzino esercitati...) non migliora affatto l’apprendimento della lettura in quanto chi legge non riconosce il proprio errore che anzi viene inconsapevolmente immesso in alcuni circuiti neurali della memoria, favorendone così la fissazione in modo più o meno stabile».