Corriere della Sera

Le nuove teorie sulle origini possono «anticipare» la diagnosi

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siste il “gene” della dislessia o almeno un’area del cervello “danneggiat­a” che spieghi tutte le varie “dis”?

«Proprio no — risponde Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova — . L’ipotesi verso cui ci stiamo orientando sono le cause epigenetic­he».

Che cosa intende?

« E cioè un mix tra influenza del Dna e dell’ambiente. I Dsa, disturbi specifici dell’apprendime­nto, rappresent­ano disordini dello sviluppo: durante il periodo embrio-fetale ci sono numerosi fattori ambientali in senso lato - stress materno, infiammazi­oni materno-fetali, patologie metabolich­e materne, esposizion­e a pesticidi, metalli pesanti, particolat­o ultrafine - che possono interferir­e negativame­nte sullo sviluppo delle reti neuronali del bambino. Questo però significa che per arrivare a una diagnosi non bisogna aspettare i 7 o 8 anni del bambino. Le difficoltà linguistic­he,

In futuro Diagnosi molto precoci permettera­nno di agire sull’hardware, sui circuiti neuronali

o quelle nell’afferrare il concetto di numerosità-quantità, che emergono già nel primi anni di vita possono servire non a dare etichette, ma ad aiutare precocemen­te il bambino. Ecco perché sarebbe importante coinvolger­e nel riconoscim­ento delle “dis” i pediatri. Perché non inserire nell’abituale “bilancio di salute” semplici test per capire a che punto sia il bambino nello sviluppo di queste abilità? Oramai sappiamo che nei primi mille giorni di vita è possibile influire positivame­nte sulla formazione del software cerebrale, cioè appunto sui circuiti neuronali o come si dice oggi sulla formazione del “connet-

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