Battere l’infiammazione Nuova linea contro i tumori
La lotta al cancro ora diventa anche «indiretta» e punta a contrastare i fenomeni che creano le condizioni in grado di favorire il suo sviluppo
Un farmaco “double face”. Pensato per combattere le malattie cardiovascolari, si è rivelato in grado di controllare i tumori del polmone. Come mai? La parola chiave, per capire, ha un nome: infiammazione. Si tratta di quel meccanismo primordiale che permette al nostro organismo di difendersi da aggressioni esterne o interne, ma che può essere causa di malattia quando va fuori controllo.
Partiamo, dunque, dal farmaco e dallo studio che ha suscitato enorme interesse all’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologia a Barcellona. La molecola si chiama canakinumab ed è un anticorpo monoclonale. Tutti i farmaci il cui nome finisce in –mab sono anticorpi costruiti in laboratorio e agiscono con lo stesso meccanismo di quelli prodotti naturalmente dalle cellule del sistema immunitario: si legano, cioè, a specifiche proteine inattivandole.
Questa molecola, in particolare, funziona bloccando un mediatore dell’infiammazione, l’interleuchina 1 beta.
Lo studio, presentato a Barcellona e pubblicato in due puntate, una sul New England Journal of Medicine e una su The Lancet, si chiama Cantos e aveva come primo obiettivo quello di indagare l’efficacia del canakinumab nel prevenire il rischio di un secondo infarto in persone che ne avevano già avuto uno.
È un nuovo approccio di terapia perché, di solito, nella prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari si usano le statine, presenti sul mercato ormai da vent’anni, o i più recenti inibitori dell’enzima PCSK9 (alirocumab ed evolocumab), entrambi in grado di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue: perché si ritiene che l’ipercolesterolemia sia uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare.
Il canakinumab, invece, colpisce un altro bersaglio: l’infiammazione, appunto, che le più recenti ricerche ritengono possa svolgere un ruolo non solo nelle malattie cardiovascolari, ma in molte altre, tumori compresi. Ecco allora il suo duplice effetto. Il primo: nei pazienti con un precedente infarto e con elevati livelli, nel sangue, di proteina C reattiva (un indicatore di infiammazione) il farmaco, somministrato con iniezioni trimestrali, ha portato a una riduzione del 15 per cento di eventi cardiovascolari maggiori e cioè, infarti non fatali, ictus non fatali e morte cardiovascolare rispetto al placebo.
«I risultati di Cantos, che ha coinvolto oltre 10 mila persone — ha commentato Paul Ridker coordinatore dello studio e direttore del Center for Cardiovascular Disease Prevention al Brigham and Women’s Hospital di Boston, Usa — sono particolarmente rilevanti perché ora abbiamo una chiara evidenza che, in aggiunta all’abbassamento del colesterolo, anche contrastare l’infiammazione riduce il rischio nei pazienti cardiovascolari».
Ma arriviamo al secondo punto: l’effetto “collateral” del canakinumab e, cioè, il fatto che ha ridotto il tasso di incidenza e di mortalità per il tumore al polmone come sottolinea il lavoro pubblicato su The Lancet.
È una conferma che l’infiammazione gioca un ruolo fondamentale nella genesi delle neoplasie, come da anni sostiene Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e professore di Patologia all’Università, che dello studio Cantos, ha parlato a Venezia in occasione del convegno su The Future of Science, promosso dalle Fondazioni Umberto Veronesi, Giorgio Cini e Tronchetti Provera.
«Secondo i dati di questo studio — ha ricordato Mantovani, — si riducono del 50 per cento l’incidenza e la mortalità per tumore al polmone». Mantovani, immunologo fra i più citati al mondo, nel 2001 scrisse su The Lancet un articolo intitolato appunto “Inflammation and cancer : back to Virkow?” per dire che andavano riprese le teorie dello scienziato tedesco Rudolf Virkow il quale, già nel 1863, ipotizzava un legame fra infiammazione e tumori.
Oggi l’infiammazione è considerata come il settimo pilastro che caratterizza le cellule tumorali e che permette loro di sopravvivere (si veda l’infografica).
Sono due le vie che legano l’infiammazione al cancro. La prima prevede la presenza di condizioni di infiammazione che a lungo andare possono portare al tumore: ne sono esempio le malattie infiammatorie dell’intestino, come il morbo di Crohn, oppure l’epatite virale, soprattutto la C.
La seconda prevede, invece, il ruolo degli oncogeni, che determinano la nascita di un microambiente dove si danno appuntamento cellule del sistema immunitario, come i macrofagi, e sostanze che favoriscono l’infiammazione, come le interleuchine, che danno vita all’infiammazione cronica. E quest’ultima promuove la crescita del tumore e le metastasi.
Il tumore, quindi, indipendentemente dal fatto che sia “nato” su una preesistente situazione di infiammazione, per crescere crea attorno a sé un ambiente infiammatorio.
Dice ancora Mantovani nell’articolo del 2001 pubblicato su The Lancet: «Il danno genetico è il fiammifero che accende il fuoco del cancro,
ma l’infiammazione è la benzina che alimenta le fiamme». Si tratta ora di studiare come contrastare questi fenomeni. Non va dimenticato che, studio Cantos a parte, altre ricerche non proprio recenti avevano già dimostrato che l’aspirina, il più classico dei farmaci antinfiammatori, si era rivelato in grado di prevenire la comparsa di alcuni tumori, primo fra tutti quello del colon.
Ambiente favorevole Il tumore per crescere produce attorno a sé un terreno che attira elementi infiammatori