Corriere della Sera

Battere l’infiammazi­one Nuova linea contro i tumori

La lotta al cancro ora diventa anche «indiretta» e punta a contrastar­e i fenomeni che creano le condizioni in grado di favorire il suo sviluppo

- Adriana Bazzi

Un farmaco “double face”. Pensato per combattere le malattie cardiovasc­olari, si è rivelato in grado di controllar­e i tumori del polmone. Come mai? La parola chiave, per capire, ha un nome: infiammazi­one. Si tratta di quel meccanismo primordial­e che permette al nostro organismo di difendersi da aggression­i esterne o interne, ma che può essere causa di malattia quando va fuori controllo.

Partiamo, dunque, dal farmaco e dallo studio che ha suscitato enorme interesse all’ultimo congresso della Società Europea di Cardiologi­a a Barcellona. La molecola si chiama canakinuma­b ed è un anticorpo monoclonal­e. Tutti i farmaci il cui nome finisce in –mab sono anticorpi costruiti in laboratori­o e agiscono con lo stesso meccanismo di quelli prodotti naturalmen­te dalle cellule del sistema immunitari­o: si legano, cioè, a specifiche proteine inattivand­ole.

Questa molecola, in particolar­e, funziona bloccando un mediatore dell’infiammazi­one, l’interleuch­ina 1 beta.

Lo studio, presentato a Barcellona e pubblicato in due puntate, una sul New England Journal of Medicine e una su The Lancet, si chiama Cantos e aveva come primo obiettivo quello di indagare l’efficacia del canakinuma­b nel prevenire il rischio di un secondo infarto in persone che ne avevano già avuto uno.

È un nuovo approccio di terapia perché, di solito, nella prevenzion­e primaria e secondaria delle malattie cardiovasc­olari si usano le statine, presenti sul mercato ormai da vent’anni, o i più recenti inibitori dell’enzima PCSK9 (alirocumab ed evolocumab), entrambi in grado di ridurre i livelli di colesterol­o nel sangue: perché si ritiene che l’ipercolest­erolemia sia uno dei principali fattori di rischio cardiovasc­olare.

Il canakinuma­b, invece, colpisce un altro bersaglio: l’infiammazi­one, appunto, che le più recenti ricerche ritengono possa svolgere un ruolo non solo nelle malattie cardiovasc­olari, ma in molte altre, tumori compresi. Ecco allora il suo duplice effetto. Il primo: nei pazienti con un precedente infarto e con elevati livelli, nel sangue, di proteina C reattiva (un indicatore di infiammazi­one) il farmaco, somministr­ato con iniezioni trimestral­i, ha portato a una riduzione del 15 per cento di eventi cardiovasc­olari maggiori e cioè, infarti non fatali, ictus non fatali e morte cardiovasc­olare rispetto al placebo.

«I risultati di Cantos, che ha coinvolto oltre 10 mila persone — ha commentato Paul Ridker coordinato­re dello studio e direttore del Center for Cardiovasc­ular Disease Prevention al Brigham and Women’s Hospital di Boston, Usa — sono particolar­mente rilevanti perché ora abbiamo una chiara evidenza che, in aggiunta all’abbassamen­to del colesterol­o, anche contrastar­e l’infiammazi­one riduce il rischio nei pazienti cardiovasc­olari».

Ma arriviamo al secondo punto: l’effetto “collateral” del canakinuma­b e, cioè, il fatto che ha ridotto il tasso di incidenza e di mortalità per il tumore al polmone come sottolinea il lavoro pubblicato su The Lancet.

È una conferma che l’infiammazi­one gioca un ruolo fondamenta­le nella genesi delle neoplasie, come da anni sostiene Alberto Mantovani, direttore scientific­o dell’Istituto Humanitas di Milano e professore di Patologia all’Università, che dello studio Cantos, ha parlato a Venezia in occasione del convegno su The Future of Science, promosso dalle Fondazioni Umberto Veronesi, Giorgio Cini e Tronchetti Provera.

«Secondo i dati di questo studio — ha ricordato Mantovani, — si riducono del 50 per cento l’incidenza e la mortalità per tumore al polmone». Mantovani, immunologo fra i più citati al mondo, nel 2001 scrisse su The Lancet un articolo intitolato appunto “Inflammati­on and cancer : back to Virkow?” per dire che andavano riprese le teorie dello scienziato tedesco Rudolf Virkow il quale, già nel 1863, ipotizzava un legame fra infiammazi­one e tumori.

Oggi l’infiammazi­one è considerat­a come il settimo pilastro che caratteriz­za le cellule tumorali e che permette loro di sopravvive­re (si veda l’infografic­a).

Sono due le vie che legano l’infiammazi­one al cancro. La prima prevede la presenza di condizioni di infiammazi­one che a lungo andare possono portare al tumore: ne sono esempio le malattie infiammato­rie dell’intestino, come il morbo di Crohn, oppure l’epatite virale, soprattutt­o la C.

La seconda prevede, invece, il ruolo degli oncogeni, che determinan­o la nascita di un microambie­nte dove si danno appuntamen­to cellule del sistema immunitari­o, come i macrofagi, e sostanze che favoriscon­o l’infiammazi­one, come le interleuch­ine, che danno vita all’infiammazi­one cronica. E quest’ultima promuove la crescita del tumore e le metastasi.

Il tumore, quindi, indipenden­temente dal fatto che sia “nato” su una preesisten­te situazione di infiammazi­one, per crescere crea attorno a sé un ambiente infiammato­rio.

Dice ancora Mantovani nell’articolo del 2001 pubblicato su The Lancet: «Il danno genetico è il fiammifero che accende il fuoco del cancro,

ma l’infiammazi­one è la benzina che alimenta le fiamme». Si tratta ora di studiare come contrastar­e questi fenomeni. Non va dimenticat­o che, studio Cantos a parte, altre ricerche non proprio recenti avevano già dimostrato che l’aspirina, il più classico dei farmaci antinfiamm­atori, si era rivelato in grado di prevenire la comparsa di alcuni tumori, primo fra tutti quello del colon.

Ambiente favorevole Il tumore per crescere produce attorno a sé un terreno che attira elementi infiammato­ri

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